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La moda di Chiara Masetta

Dalla Sicilia alla Liguria, Chiara Masetta fashion designer emergente affronta uno dei viaggi fuori porta più intensi della sua carriera.

Formatosi a Palermo, Chiara ci racconta un po’ del suo percorso artistico, come inizia e le soddisfazioni durante la strada. Si specializza in collezione e confezione d’alta moda a Roma per poi spostarsi a Malta dove ha modo di lavorare dal 2016 al 2017 come direttore artistico per alcune aziende. Alla fine del 2017 rientra in Sicilia dove apre uno showroom in società con una collega, per poi invece dedicarsi alla nascita nel 2023 del suo sito personale e online chiaramasetta.com

L’etica del suo brand rispecchia la visione della designer, puntando sull’unicità dei capi lavorati a mano e sopratutto contrastando quello che è il fast fashion, promuovendo una moda che vuole i suoi tempi per essere perfetta. Perfetta per chi vi chiederete! Chiara Masetta ha come obiettivo anche quello di favorire le donne curvy, allontanandosi dalle conformi taglie dettate dal fashion system!

Dopo il suo rientro in Sicilia decide di aprire la sua azienda e-commerce con sede legale a Sant’Agata di Militello, senza però limitarsi al territorio. La partecipazione di undici delle sue creazioni all’interno degli eventi dell’ultimo Festival di Sanremo 2024, si può considerare l’attuale apice della sua carriera.

Mosse dalla curiosità di saperne di più, abbiamo la designer Chiara.

Quando nasce la passione per la moda?

La passione per la moda nasce quando avevo 16 anni: Ero una ragazzina e la moda nei primi anni del 2000 non era  esattamente così piena di alternative, quindi sentivo spesso l’esigenza di trovare qualcosa che mi appartenesse, che mi stesse come volevo io, che nascondesse i miei punti deboli per esaltare quelli di forza.

Sapevo che dovevo essere io a creare le condizioni per sentirmi bene nei miei vestiti e sapevo che come me molte altre ragazze e donne vivevano le stesse difficoltà.

Quindi ho deciso di intraprendere questa strada con l’intento di dover cambiare qualcosa. Infatti oltre a trattare le taglie standard tratto anche la linea curvy, perché è importante che una donna non si senta più dire in un negozio: “Non ho nulla della sua taglia”.

Quali sono le tre parole che caratterizzano il tuo brand Chiaramasetta?

Eleganza, inclusione, colore!

Parlaci della tua esperienza sanremese! Com’è nata questa opportunità?

Ho aperto il mio brand un anno fa e sentivo l’esigenza di crescere e di portarlo ad un livello superiore. Così ho iniziato a propormi in giro per delle sfilate, fino a quando un’agenzia mi ha proposto di partecipare agli eventi legati al festival. Ho accettato immediatamente, in 21 giorni ho realizzato 11 abiti ed è iniziata l’avventura.

Hai un tessuto preferito per la realizzazione dei tuoi abiti?

Di sicuro mi piace lavorare tantissimo la simil pelle. È un tessuto comodo, elasticizzato, facile da manipolare e di grande effetto estetico. Mentre per le collezioni estive mi esprimo benissimo con pizzi, cadie e popeline. in fibre naturali perché la pelle in estate ha bisogno di un trattamento e una cura maggiore.

Oggi, con l’esperienza, quali consigli ti senti di dare a chi sceglie la tua stessa strada?

Sento di dire a tutti di fare questo lavoro con l’entusiasmo giusto, di trovare la ricetta perfetta che ha come ingredienti: studio e ricerca, buon gusto, sperimentazione, creatività, talento e tanta tecnica.

È una passione che si trasforma in una professione e come tale ha bisogno di tutta la vostra forza e la vostra attenzione. Consiglio di non farsi mai influenzare da chi vi dice di mollare e di concentrarvi su altro, perché perdereste l’opportunità di fare il lavoro più bello del mondo

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Thom Browne e le favole

C’era una volta, in mezzo alla frenesia della grande mela, una cornice desolata e quasi surreale, dove un paesaggio innevato celava al suo interno una casa in disuso. Appena fuori di essa sorge un albero, una volta uomo, le cui braccia sono state sostituite da rami scuri e appassiti presenti anche sul suo copricapo.

Questo particolare “arbusto” però indossa un enorme piumino, lungo 9 metri, dal quale fuoriescono quattro piccoli modelli in completi eleganti compresi di giacca nera e shorts, per presentare la linea bambini di Browne.

I quattro “neonati” si apprestano poi a seguire la prima modella, palesatasi come un presagio funesto, avvolta in una stola di smoking ormai logoro, al di sotto del quale un corpetto trompe l’oeil in twill di seta bianca tenta di donare quel senso di eleganza evidentemente ormai perso nel tempo, ma non ancora del tutto spento.

Poco dopo inizia la consueta presentazione della collezione, composta da abiti sartoriali e cappotti dalle silhouette esagerate e imponenti. Arricchiscono l’elaborato anche tweed di denim stracciato e rose cucite in raso, flanelle di lana e intarsi di velluto, applicati su moiré di seta bianca. Completano il tutto poi accessori quali calzature con tacco imprigionate all’interno di uno strato di vinile impermeabile.

La palette cromatica non presenta toni particolarmente brillanti, il bianco e il nero la fanno da padroni, sebbene si accennino delle sfumature di grigio e dei piccoli dettagli rifiniti in rosso, blu e bianco per sottolineare anche in maniera minima l’appartenenza al brand.

Un’atmosfera gotica e genderless!

Accompagnati da una colonna sonora cheta e dalla risonanza spettrale, unita alla voce dell’attrice Carrie Coon, che vocalmente interpreta poesie di Edgar Allan Poe, i modelli procedono in linea discostante, alcuni decisi, altri incerti,  quasi spaesati, persi in un’atmosfera gotica la cui potenza visiva risulta evidente, infatti, nulla accade se non questo confuso avanzare dei “corvi” di Browne, eppure è impossibile distogliere lo sguardo, tutti gli spettatori sono rapiti dalla scena presentatasi dinanzi ai loro occhi.

Quest’esecuzione, unita all’accostamento di diversi materiali, crea una qualche sorta di armonia in mezzo all’oscurità angosciante, ma che allo stesso tempo trasmette tranquillità e speranza, ed è così che il caos si trasforma in bellezza. Complice di questo anche un’estetica genderless, mai assente nei moderni fashion show. Accade infatti che anche i modelli di sesso maschile presentano il volto decorato con trucco scenico completo di un acceso rossetto rosso cremisi, chiaro rimando al cinema muto degli anni ruggenti.

Lo show della collezione Thom Browne, curato dalla truccatrice britannica e creatrice di “wearable artIsamaya Ffrench, si conclude poi esattamente come era cominciato, con una ulteriore performance a precedere l’uscita finale dello stilista che porta con sé un enorme cuore scarlatto, in regalo al suo compagno (lo show si è infatti tenuto il giorno di San Valentino).

Accade che all’improvviso, un enorme insetto in palette dorata (interpretato dalla modella Alex Consani) si palesa all’interno della scena. Il coleottero viene spogliato della sua corazza in jacquard dai quattro neonati visti all’inizio, che rivelano così un completo composto da un cardigan con bottoni dorati e una gonna ampia rItraente il lugubre volatile, completa il tutto un fiocco con i colori del brand.

La peculiarità di quest’ultimo pezzo è rappresentata dalla distinzione cromatica rispetto ai pezzi proposti in precedenza, la quale tonalità spicca in mezzo alle altre lasciando l’atmosfera lugubre e scura e portando un messaggio di luce e speranza.

Chi acclamava lo stile minimal come top trend di questa nuova stagione dovrà immancabilmente ricredersi alla vista di quest’esecuzione. Thom Browne e non solo, riporta in auge la fantasmagoria tipica degli anni 90, dove a palesarsi sulla passerella non era solo un prodotto, ma una vera e propria performance artistica, che ha fatto appassionare generazioni intere al mondo della moda. Sebbene l’ispirazione al Corvo del già citato Edgar Allan Poe risulti evidente, dopo uno show del genere, si può dire di tutto, ma non certo “mai più”.

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La gioia del colore di Mirò arriva a Catania

A Catania il 2024 parte all’insegna dell’arte con la retrospettiva “Mirò, la gioia del colore”, curata da Achille Bonito Oliva con la collaborazione di Vincenzo Sanfo e Maïthé Vallès-Bled e il patrocinio della Regione Siciliana, l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e il Comune di Catania. Dal 20 gennaio al 7 luglio, il Palazzo della Cultura ospiterà 100 opere di Joan Mirò (1893 – 1983), provenienti da musei francesi e spagnoli: non solo dipinti, ma anche ceramiche, tempere, acquerelli, sculture e litografie che consentiranno ai visitatori di entrare nel variopinto e fantastico mondo del pittore catalano.

Un mondo che si rifiuta di essere prigioniero delle convenzioni della pittura e della società e anela alla libertà della sperimentazione pura, alla scoperta delle svariate forme che la materia può assumere. Dalle Avanguardie all’arte rupestre primitiva, passando per i grandi maestri del passato, lo stile di Mirò è espressione dello spirito creativo del suo tempo e vede nella linearità del simbolo e nell’energia del colore i protagonisti chiave per la creazione di un linguaggio universale, comprensibile a tutti.

A questa intenzione risponde l’apparente semplicità della sua produzione artistica che un occhio superficiale potrebbe accostare a quella di un bambino, scadendo nella tipica affermazione “potevo farlo anch’io”, riservata ormai a fin troppi artisti contemporanei. In realtà, le opere di Mirò sono frutto di una ponderata riflessione ed elaborazione, testimoniata dall’esistenza di diversi bozzetti preparatori.

Il suo tratto riconoscibile, unito all’intensità della sua tavolozza, è un invito ad abbandonare il rigore della ragione per inseguire il richiamo dell’immaginazione. In ogni opera è insita una spontanea vivacità che spiazza lo spettatore riportandolo alla dimensione ludica che si è soliti lasciare indietro una volta adulti.

La mostra catanese offre un percorso antologico che abbraccia circa sessanta anni di carriera dell’artista che insieme a Picasso e Dalì ha rappresentato una delle eccellenze della penisola iberica. Ogni sezione è dedicata all’approfondimento di ciascuno degli ambiti a cui Mirò si è interessato e tra questi certamente spiccano le copertine realizzate per la rivista d’arte francese Derrière le Miroir e le litografie per il libro illustrato di poesie di Tristan Tzara, padre del movimento Dadaista.

“Mirò, la gioia del colore” è un’occasione da non perdere sia per chi ha familiarità con l’artista catalano che per chi si affaccia per la prima volta al Surrealismo.

Visitate il link per conoscere ulteriori dettagli sull’esposizione a Palazzo della Cultura.

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Fiorucci is back!

Fiorucci, la casa di moda degli angioletti, ritorna nello scenario delle Fashion week a partire da questa spring/summer 2024 e noi ne siamo molto felici.

Il brand è stato uno tra i più amati degli anni novanta per la sua comunicazione sopra le righe e i capi iconici con stampe e grafiche che ancora oggi sono riconoscibilissime, come i due angioletti ad esempio. La storia del brand vede il susseguirsi di una serie di montagne russe sul mercato, prendendo le distanze dal sistema moda e dalle passerelle per diversi anni, ritornando nuovamente con una visione più eclettica che mai. Con la nuova proprietaria Dona Bertarelli, a dirigere la nuova vita del brand sarà il duo composto dal CEO Alessandro Pisani e la nuova direttrice creativa Francesca Murri.

Cosa ricordiamo in particolare di Fiorucci? Il suo romanticismo con quel tocco di malizia che ha sicuramente fatto la sua fortuna, vestendo una generazione in rivoluzione. Anche oggi il brand, dopo la morte nel 2015 del suo fondatore Elio Fiorucci, sembra approcciarsi a quella fetta di amanti della moda che vogliono giocare attraverso gli abiti.

La presentazione della nuova collezione Fiorucci spring/summer 2024 non si discosta dall’anima che conosciamo, 100% Made in Italy, ma si rinnova lavorando sul pop romantico che fa bene al cuore. Le parole d’ordine rimangono così rivoluzione, libertà, gioco e trasgressione, modi di essere che non passano mai di moda.

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Lo scenario di Maison Margiela: Artisanal ss24

John Galliano is back! Sembra di essere tornati alla sera in cui il fashion system lo cacciò, fra i tavoli di quel bar, nella notte di quel dicembre. Le parole suonate raccontano la punizione, la solitudine, la fuga e il rifugio trovato qui, sotto il ponte Alexandre III. Perdere tutto e trovare se stessi. “It’s me myself and I”, siamo io e me suona Lucky Love.

La sua estetica, che ci aveva ammaliato come mai nessun altro era stato capace in Dior, adesso è qui in Maison Martin Margiela, potente nella sua verità. E in questo scenario intimo e onirico c’è tutto il racconto del sé: i segni di un bustier stretto da togliere il fiato, lo sfarzo ingannevole di una collana di perle, le crepe sul pavimento.

Protagoniste sono le sue bambole di sempre, adesso rotte, si rialzano dalla polvere e riprendono a camminare, sbilanciate, dinaccolate, rattoppate. Le texture sono logorate, le silhouettes costruiscono nuovi volumi con cui mettersi a nudo nella propria fragilità e bellezza. Alcuni di questi ricordano i look timeless creati a suo tempo per Dior, oggi zoombie tornati da un lungo silenzio.

La moda ci offre l’illusione di appartenere a un mondo appositamente disegnato, ci invita a sognare e a comunicare attraverso un concept e la costruzione di Abiti da abitare. Quando la moda tornerà a far capo alla sensibilità stilistica con cui soltanto un creativo può esprimersi, lontano dalla mercificazione del prodotto, forse torneremo ancora a commuoverci, a identificare un capo con un’emozione, a raccontare la personalità di ciascuno come dimostra oggi questa sfilata, capolavoro dirompente di un decennio noioso, ordinato e spesso fin troppo signorile.

Vedi qui la sfilata http://h5ps://www.youtube.com/watch?v=DgMJq67ZOwE

Courtesy of Pantone 5

Peach Fuzz, l’abbraccio dell’alba per un nuovo inizio

Il Pantone Color Institute, servizio di consulenza interno a Pantone che prevede le tendenze cromatiche globali e fornisce consulenza alle aziende sul colore nell’identità del marchio e nello sviluppo del prodotto per l’applicazione e l’integrazione del colore come risorsa strategica, ha decretato il colore ufficiale del 2024, e questa volta a rappresentare l’anno in corso sarà il Pantone 13-1023, anche detto “Peach Fuzz”. 

L’annuncio non segna solo una svolta di tendenza nel colore generale rispetto all’anno appena passato ma anche il 25º anniversario del programma Pantone Color of the Year, iniziato nel ‘99 quando venne annunciato il primo colore da parte di Pantone, il 15-4020, “Cerulean Blue”. Questa iniziativa si era proposta come obiettivo il voler riflettere attraverso una scelta di carattere cromatico lo stato d’animo della società a livello globale.

Peach Fuzz nella sua leggera sonorità trasmette in chi lo osserva una sensazione di calorosa bontà e cheta morbidezza. Attraverso questa sfumatura, che ricorda un’alba romantica, si insinua in noi la convinzione di poter sempre avere la possibilità di rincominciare da capo, in un periodo storico dove più che mai è importante perseverare nella ricerca di una qualsiasi speranza.

La pandemia di COVID-19 unita tutti gli avvenimenti socio politici che hanno travolto il mondo negli ultimi anni hanno reso le comunità sempre più tese e distaccate le une dalle altre. Attraverso la scelta di questo colore, Pantone sembra voler sottolineare quanto invece il senso di comunità e la gentilezza possono essere un valore aggiunto a quello che è il comporsi della società, donandoci un senso di pace interiore, che abbiamo il dovere di condividere con il mondo che ci circonda, invitandoci inoltre ad arricchire e nutrire la nostra mente in una colorazione tenue e sofisticata che crea una chiara amalgamazione d’idee fra antico e contemporaneo.

A seguito di tale scelta, Laurie Pressman, Vicepresidente del Pantone Color Institute ha dichiarato:

“Con il Pantone Color of the Year 2024 di quest’anno, vediamo una maggiore attenzione verso la comunità e le persone di tutto il mondo che riformulano il modo in cui vogliono vivere e valutano ciò che è importante, ovvero il conforto di essere vicini a coloro che amiamo. Il colore è quello il cui abbraccio caldo e accogliente trasmette un messaggio di compassione e la cui accogliente sensibilità unisce le persone e arricchisce l’anima”

Un cambio di rotta evidente rispetto a quello che fu il colore del 2023, Viva magenta 18-1750, che racchiudeva in sé delle sfumature scure dall’impatto più crudo e violento, quasi in linea con i tragici eventi che hanno scandito lo scorrere dell’anno passato.

Il colore ha trovato già largo uso nel mondo dell’Interior design, da quest’ultimo ritenuto creatore di atmosfere accoglienti e tranquille, costruendo spazi volti al relax e alla crescita personale. Questo colore sembra infatti donare a chi lo guarda delle sensazioni che vanno oltre la vista ma che nutrono anche il gusto e l’olfatto, ricordando il dolce frutto che tutti noi abbiamo assaggiato nelle calde giornate d’estate e che ci ha donato sollievo attraverso la sua freschezza e la dolcezza in esso racchiuse.

I suddetti ricordi che questo colore rifiorisce, contribuirebbero a istigare in noi dei pensieri di tranquillità che possono aiutarci a rivivere i momenti più idilliaci della vita riportandoci nel passato preparandoci però per il futuro, ricordarci perché bisogna stare vicini alle persone che amiamo in un abbraccio caldo e accogliente.

Un colore che sussurra innovazione e guarigione, ricerca della serenità e di una felicità non esclusiva, ma che può essere condivisa, amata e provata da tutto il genere umano, qualcosa di cui tutto il mondo, ora più che mai, necessita.

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“Una di noi”, il ritorno a Firenze di Luca Magliano

Una lunga discesa dalla scala frontale del Nelson Mandela Forum di Firenze segna l’inesorabile ritorno nel capoluogo toscano di Luca Magliano, che presenta ufficialmente la sua collezione Fall/Winter 2024-2025 in occasione di Pitti 105.

La collezione presenta un assortimento di cappotti oversize e capi di maglieria riutilizzati come giacche, completi eleganti la cui morbidezza accarezza gli occhi dello spettatore e borse in plastica che fungono da accessori, completano poi l’opera calzature da lavoro riadattate in chiave street. Questo “ricco” assortimento trova in sé anche spazio per la politica, con una t-shirt rappresentante una caricatura di Leonardo da Vinci imbrattata dalla dicitura «Leonardo una di noi». 

I capi della collezione sono stati sviluppati in collaborazione con brand di punta della manifattura made in Italy: Untag (Per i binder); Borsalino (Per i cappelli); Kiton (Per i capi sartoriali).

I modelli percorrono la scalinata in un ritmo lento, costante, pigro, quasi trascinato, non curante della velocità con cui il mondo avanza intorno a loro nel suo continuo defluire d’impazienza.

Completa l’esibizione un’impegnativa risalita della scalinata, stavolta di spalle, sulle note di “La domenica delle Salme” di Fabrizio De Andrè e Mauro Pagani. Il brano, da sempre stendardo della tipica provocazione deandrediana, rappresenta il rifiuto della sempre più dilagante stretta del politicamente corretto in un’atmosfera ribelle e irreverente, calata su di un mondo di cupo sconforto.
Gli abiti di questa collezione sembrano rappresentare il mondo che ci circonda. Ciò che può sembrare un accostamento pigro e senza impegno, in realtà nasconde un significato più profondo.

Esso non è il risultato del tanto famoso “tuffo nell’armadio” ma bensì un’espressione pura e semplice di individualità in un mondo che dopo guerre e pestilenza tenta di ritrovare un’armonia nella sua semplicità.

Pitti Uomo si sa, è da sempre la kermesse della moda maschile ed è proprio in questo che Magliano tenta di differenziarsi dando spazio anche alla figura femminile, riadattata in chiave più fluida, confermando per l’ennesima volta il superamento del concetto che fu la distinzione tra capo da uomo e capo da donna. Tutti i modelli infatti, sebbene di generi diversi, appaiono androgeni e perfettamente adagio nella loro essenza, che va oltre il genere di nascita.

La collezione rielabora il tradizionale concetto di mascolinità in una chiave più moderna e rilassata, senza dimenticarsi di lasciare un’impronta queer sul terreno dove il dandy e lo skater hanno trovato il connubio.

A cinque anni dal suo debutto in Pitti, Magliano lascia dietro di sé una passerella dal messaggio politico deciso e forte, anche nella sua semplicità attraverso un’eleganza esclusiva, ma popolare.

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Quando l’arte incontra il design: i gioielli di Federica Scillia

Federica Maria Scillia è una giovane orafa siciliana, designer del gioiello e gemmologa, è anche la
creatrice della collezione “Les Petites”.

Federica Scillia nel suo laboratorio | Fotografia di Simona Di Stefano @simonadst

Classe 1991, nasce a Palermo, e dopo aver conseguito la maturità classica, Federica, sceglie di
frequentare l’Harim, Accademia Euromediterranea di Catania, che le consente di approfondire e
perfezionare le proprie capacità pratiche e artistiche nel settore orafo. Filo conduttore di tutta la sua
vita è stata, infatti, la passione per il disegno e la creazione artigianale, il particolar modo di monili
preziosi.
Conseguito il Diploma di Laurea nell’anno 2017, Federica partecipa e vince un concorso
indetto dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte di Milano che le consente di intraprendere uno
stage lavorativo presso il laboratorio orafo del maestro Salvatore Messina, a Catania, per
perfezionare e mettere in pratica quanto appreso durante gli studi.

Sviluppatesi le sue già innate capacità di apprendimento e di creatività, e subito dopo aver terminato
lo stage, la giovane designer viene assunta dal maestro Messina e per arricchire il proprio bagaglio
professionale, consegue anche un diploma di gemmologia presso IGI Antwerp.
Noi di Madin siamo andate ad intervistarla direttamente nel suo laboratorio:


Raccontaci chi sei!

Sono un’orafa, designer del gioiello e gemmologa orgogliosamente siciliana, ma prima di essere
quanto detto, indubbiamente, sono una “dreamer” una persona che crede nelle proprie potenzialità e
nei propri sogni.


Come nasce la passione per i gioielli?

Indubbiamente la persona che mi ha trasmesso la passione per i gioielli è stata mia madre. Ricordo
che quando ero piccola la ammiravo mentre li indossava, ma, non desideravo solamente emularla,
io avevo desiderio di creare dei gioielli. Ho ritrovato un quaderno, che custodisco gelosamente,
dove da bambina disegnavo le mie parure preziose. Da adolescente, grazie all’aiuto di mio padre e
di alcuni strumenti rudimentali ho poi cominciato a realizzare i miei primi gioielli in filigrana
d’argento.

Dettaglio saldatura | Fotografia di Simona Di Stefano @simonadst


A cosa pensi quando crei?

Immaginate gli ingranaggi di un orologio, perfetti e coordinati tra loro, ecco, questa è l’idea che ho
della mia mente quando creo. Bisogna stare attenti a non commettere errori di esecuzione durante le
varie fasi di lavorazione del gioiello, ma nello stesso tempo, da designer, bisogna saper mettere quel
dettaglio in più per arricchire e rendere unico il gioiello che stai creando.


Come si chiama la tua prima collezione?

La mia prima collezione si chiama “Les petites” realizzata interamente a mano in oro e argento.
Design minimal e linee sottili, questa collezione è stata ideata per chi vuole indossare un dettaglio
prezioso.
Ho voluto provare a mettermi in gioco in prima persona, per la prima volta e devo dire che è andata
piuttosto bene, i gioielli sono stati apprezzati dalle clienti di tutte le età.


Progetti in cantiere?

La vita di un designer è sempre un “cantiere”, ho mille progetti per la testa, ma concretamente sto
già realizzando la collezione primaverile per la linea “Les petites”.

Visita il profilo di madin su Instagram per scoprire il video!

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Il Metaverso dei gioielli: le opere di Kris Ruhs

Nel 2016 la Fondazione Sozzani, di Carla Sozzani, luogo di sperimentazione e promozione delle arti visive tra fotografia e moda, si apre al metaverso e alla crypto arte, concependo una mostra di opere create dal noto artista newyorkese Kris Ruhs. Tali opere si esplicitano in una particolare collezione di gioielli scultorei “NFT Genesis Jewelry” progettati per essere indossati nella realtà aumentata.

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Kris Ruhs, classe 1952, frequenta la School of Visual Arts di New York City, città natale in cui apre il suo primo studio creativo. Sin da subito si distingue per la sua capacità di percepire ogni materiale con una potenzialità strutturale elevatissima, lavorandolo in modo tale da estrapolare tale potere e renderlo visibile e andare oltre i consueti confini della scultura e della pittura. In quanto artista esploratore, Ruhs sperimenta la forma in relazione alla luce, gioca con la percezione del materiale e la sua espressione riflessa, come avviene soprattutto per la collezione di gioielli da poter esplorare all’interno del sito personale dell’artista (http://www.krisruhs.com/). Ed è proprio attraverso i gioielli che Ruhs esplora un ulteriore mondo, quello del metaverso.

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Ormai da diversi anni il metaverso è entrato a far parte della nostra vita, aggiungendo una dimensione ulteriore al mondo circostante. Nell’arte e nella moda è un contenitore di infinite possibilità creative e percettive come nel caso della collezione “NFT Genesis Jewelry” in mostra alla Fondazione Sozzani. La reale possibilità per la Fondazione di entrare nel mondo del metaverso, nasce grazie all’amicizia con TailorVentures, fondatore della società di Venture Capital del settore tecnologico, che ha ideato la piattaforma Xbinary e curatore del progetto NFT Genesis Jewelry.

Per l’occasione sono stati selezionati da Xbinary sette pezzi unici di gioielli scultorei di Kris Ruhs, provenienti dal suo archivio, etrasformati nelle loro repliche digitali con la realtà aumentata, resi disponibili all’interno del marketplace di DressX, piattaforma internazionale di moda digitale.

“NFT Genesis Jewelry permette di vivere un’esperienza interattiva, immersiva, e di esplorare l’arte digitale con lo scopo di limitare il consumo permettendo di scegliere consapevolmente un pezzo di arte da indossare digitale o fisico”.

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XBINARYtransforms,adapts, andtranscriptsacuratedselectionofartworksto thedigitalrealm,creatinguniquecryptoartpieces,augmentedrealityexperiencesandMetaverse-readycollectibles”.

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All’interno della piattaforma si possono trovare le tre attuali mostre attive, “Jenesis Jewlery”, “Heroes Hexhibition” appartenenti alla Fondazione Sozzani, ed “Heroes Drop 1” per Foundation Mktpl. 

Il mondo digitale rende così possibile indossare in una realtà diversa da quella materiale, oggetti, gioielli virtuali e altro anche in momenti quotidiani della vita. Equivale ad un investimento secondo Tailor Ventures, esperto in sicurezza informativa il cui progetto di Xbinary nasce semplicemente con l’intenzione di avvantaggiare il mondo luxury. 

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Tailor afferma “L’idea è partita dallo spunto di DressX, piattaforma di moda digitale con cui collabora, la quale che traspone nella realtà virtuale le collezioni nate nel mondo fisico. Associando questo concetto a quello di NFT, ecco XBinary: rendere indossabile, magari durante una video call, un gioiello virtuale trasformato a sua volta in un’opera d’arte digitale, perfettamente tridimensionale ma soprattutto unica”.

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Il genio e l’avanguardia di Walter Albini

Walter Albini può essere definito come il protagonista indiscusso della moda italiana, il creatore del ready-to-wear, che ha plasmato un’eredità indelebile per il fashion system attraverso la sua straordinaria carriera. Nasce il 3 marzo del 1941 a Busto Arsizio come Gualtiero Angelo Albini, e dopo aver frequentato, come unico ragazzo, l’istituto d’Arte, Disegno e Moda di Torino a soli diciassette anni lavora per riviste e giornali come illustratore nelle sfilate d’alta moda da Roma a Parigi.

E proprio a Parigi, dopo aver incontrato Coco Chanel in persona e Mariuccia Mandelli, Albini torna a Milano, dove intraprende un percorso che avrebbe rivoluzionato il concetto stesso di stile, consolidando il suo ruolo di icona nel panorama internazionale della moda. Si dice che la figura dello stilista, per come la conosciamo oggi, sia nata proprio con Albini e che sia stata la stessa Anna Piaggi a coniare ed utilizzare questo termine riferendosi per la prima volta proprio a Walter Albini, l’artefice del prêt-à-porter, il primo ad inserire nelle sue sfilate la musica.

Nonostante sia un artista e uno stilista purtroppo poco conosciuto, nel mondo della moda e dell’arte in generale, la sua importanza nel contesto del “Made in Italy” è assoluta, e risiede nella sua fervente difesa dell’artigianato italiano e nella promozione di standard qualitativi elevati. Albini, collaborando con rinomate case di moda, ha contribuito a posizionare l’Italia come epicentro di eccellenza nella produzione di abbigliamento e, in particolare, la svolta distintiva nella sua carriera si è manifestata negli anni ’70 quando ha osato presentare collezioni uomo e donna nello stesso défilé. Questo gesto, così audace e progressista per quegli anni, non solo ha anticipato la tendenza all’unisex, ma ha anche ribaltato le convenzioni tradizionali, confermando la sua reputazione di innovatore e anticonformista intramontabile.

Il suo stile distintivo, caratterizzato da linee pulite, tessuti pregiati e attenzione meticolosa ai dettagli, ha definito un’estetica che va oltre le mode effimere, consolidando la sua influenza nel mondo della moda. La sua dedizione all’arte e alla cultura si è manifestata nella collaborazione con artisti contemporanei, integrando opere d’arte nelle sue creazioni e creando un connubio unico tra moda ed espressione artistica. La visione di Albini si estendeva oltre il semplice atto del creare abbigliamento, egli infatti, dando vita per la prima volta alla collaborazione tra la figura del designer e quella del produttore, abbracciò l’idea che la moda fosse un’espressione tangibile di identità e creatività e che attraverso l’unione e la cooperazione di più menti creative ciò potesse acquisire ancora più risonanza.

Questa filosofia ha contribuito a ridefinire il concetto stesso di moda, trasformandolo in un’esperienza a 360°, non più individuale e materiale, ma collettiva, visiva e sensoriale. Seguendo questo suo ideale su ciò che poteva e doveva essere la moda, Walter Albini fu il primo direttore creativo a collaborare con numerose case di moda e disegnare personalmente le loro collezioni, come per Etro con la progettazione di tessuti stampati e per Ferrè nell’ideazione di accessori. 

In conclusione, Walter Albini è stato più di un semplice stilista; è stato un pioniere che ha plasmato il corso della moda italiana. La sua dedizione all’artigianato, la sua audacia nell’innovazione e la sua fusione di moda e arte hanno contribuito a definire il “Made in Italy” come sinonimo di eleganza senza tempo e qualità senza compromessi, rendendo il suo contributo una pietra miliare nella storia della moda mondiale. La sua prematura scomparsa il 31 maggio 1983, a soli quarantadue anni, non ha affievolito l’eredità di Walter Albini, al contrario, il suo impatto perdura, influenzando generazioni successive di designer che continuano a celebrare la sua audacia e innovazione.