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La moda alla Triennale di Milano

La triennale di Milano ha recentemente inserito nel suo organico un reparto interamente dedicato alla moda, e come prima mossa, l’allestimento di “Forme Mobili”, esposizione che unisce i pezzi conosci di maison come Capucci, Krizia, Giorgio Armani, Vivienne Westwood, Versace, Alaïa e Comme des Garçons, e locata all’interno del museo del design italiano, mette già bene in chiaro come quest’iniziativa di ponga come obbiettivo il far conoscere la grande pubblico l’intrinseca connessione che lega le due discipline del
design a quella del fashion system.

L’obiettivo del Dipartimento pare quindi essere quello di sviluppare e mettere in connessione la moda con altri ambiti culturali, evitando il rischio di una visione statica e museale del settore.

Custode di questo dialogo tra passato e futuro è Luca Stoppini, volto non certo nuovo al mondo della moda nostrana. Già rinomato nell’ambito direzione creativa e dell’editoria in ambito moda infatti, nel 1991, ha fondato a Milano il proprio studio di consulenza creativa, collaborando con prestigiosi brand internazionali, case editrici, musei e teatri.

Tra i suoi clienti figurano nomi come Dolce & Gabbana, Moncler, Chanel e Giorgio Armani. La sua carriera, iniziata nel 1981 presso Condé Nast Italia, è proseguita poi con “Vanity”, per poi collezionare note di merito come direttore creativo di Vogue Italia (1991) e Icon (2020).

La sua influenza nel settore è riconosciuta a livello globale, con menzioni in pubblicazioni come “The Business of Fashion”. Insomma, questo piovere del fashion system, si propone di esplorare la moda come terreno di intersezione con altre espressioni culturali contemporanee.

Ma cosa Significa l’apertura del Dipartimento Moda alla Triennale di Milano per il Futuro della cultura Italiana? Perché dedicare uno spazio esclusivo alla moda in una delle più prestigiose istituzioni di design?

La moda, da sempre pilastro della cultura e dell’economia del bel paese. Tuttavia, essa mancava di un luogo istituzionale dove fosse esplorata come fenomeno culturale complesso, al pari del design, dell’architettura o dell’arte. Il neonato dipartimento riempirebbe così questa lacuna, riconoscendo ufficialmente la moda come disciplina interdisciplinare che incarna creatività, innovazione, artigianalità e dialogo con il contesto storico e sociale.

Come Comme des Garçons trova un parallelo nelle linee minimaliste di un pezzo di design industriale, allo stesso modo, un capo di Capucci dialoga visivamente con una scultura di design, trasformando l’esperienza di chi osserva in una riflessione sulle forme, i materiali e l’innovazione.

Alla base di questa nuova visione c’è il centro studi “Cuore”, un archivio e laboratorio di ricerca che valorizza i magazzini della Triennale. Questo spazio funge da hub per lo studio e l’acquisizione di capi iconici attraverso donazioni, comodati d’uso e acquisizioni mirate.

Finora, oltre una dozzina di capi sono già stati integrati nella collezione, con l’obiettivo di costruire una narrazione visiva che rifletta sia la tradizione che l’evoluzione della moda.

Questa iniziativa mira a sfidare la percezione tradizionale della moda come un’espressione effimera, posizionandola invece come una disciplina capace di influenzare e dialogare con le altre forme d’arte. Non si tratta di conservare abiti per fini nostalgici, ma di studiarli e utilizzarli per tracciare i cambiamenti culturali e sociali che scandiscono il nostro tempo.

Tuttavia, il successo del Dipartimento Moda dipenderà dalla sua capacità di innovare e di rappresentare tutte le voci del settore. Sarà cruciale esplorare non solo le grandi maison e i nomi più noti, ma anche i designer emergenti, le sottoculture e i movimenti di moda sostenibile che stanno ridefinendo il futuro del settore.

L’inclusività dovrà essere al centro delle attività del Dipartimento, garantendo che tutte le sfaccettature della moda – dalle tradizioni artigianali locali alle tecnologie più avanzate – siano rappresentate. Inoltre, sarà fondamentale utilizzare questa piattaforma per educare il pubblico sul valore della moda come espressione culturale e strumento di cambiamento.

Il Dipartimento Moda della Triennale di Milano punta ad ergersi come un laboratorio vivente, un crocevia dove la moda si spoglia della sua transitorietà per farsi ponte verso l’eterno. Ogni mostra, ogni capo acquisito, ogni collaborazione sarà un tassello che senza dubbio contribuirà ad aggiunge profondità a una narrazione ancora tutta da scrivere.

Non si può fare a meno di chiedersi, quale sarà il prossimo filo a essere tessuto in questa trama di tradizione e innovazione? E quali nuove storie ci sussurreranno gli abiti del futuro? La speranza, in fondo, è che queste risposte non siano mai definitive, ma che continuino a evolversi, proprio come la moda stessa.

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New baroque per Maison Valentino

Molti lo aspettavano come una sorta di secondo avvento ed eccoci qua: Sir Alessandro Michele (completamente a sorpresa) ha portato in tavola, nella mattinata di un torrido 17 Giugno, un menù di ben 171 portate di pret-a-porter per la Maison Valentino, di cui ha da poco ricevuto lo scettro di direttore creativo dal suo predecessore Pier Paolo Piccioli.

La moda, come ben sappiamo, è un mondo in continua evoluzione, dove le aspettative e le speranze si intrecciano con l’innovazione e la creatività. Alessandro Michele, noto globalmente per aver rivoluzionato il mondo Gucci con il suo stile eccentrico e tocco barocco, ha portato la sua inconfondibile firma anche nella maison romana.

Un’impronta inconfondibile sì, forse anche fin troppo. Sebbene non si possa negare che Alessandro Michele abbia una visione creativa unica, capace di unire eleganza e stravaganza, l’ex paladino di casa Gucci ha mantenuto il suo stile caratterizzato da strati di tessuti ricchi e sofisticati, colori audaci e dettagli ornamentali: frange, broccati, pois, mantelli, turbanti. 

Quando si tratta di Michele e dettagli, chi più ne ha più ne metta, ma osservando attentamente la collezione emerge un’incessante sensazione di déjà vu, come se le sue passate e apparentemente lontane vecchie passerelle fossero state semplicemente traslate in una cornice non molto differente.

Al primo annuncio di questo nuovo incarico, molti si aspettavano una fusione tra la creatività quasi camp del designer e l’eleganza senza tempo della maison di Valentino Garavani. Purtroppo o per fortuna, ciò che emerge prevalentemente da questa prima presentazione è la prevalenza del linguaggio estetico di Michele.

Il romanticismo etereo e sofisticato che definiscono da sempre il brand sembrano essere stati sopraffatti da una continuità stilistica che, seppur affascinante, appare ridondante.
Non si può non riconoscere il talento di Michele nel creare collezioni che raccontano una storia complessa e ricca di dettagli.

Tuttavia, per Valentino, c’era l’aspettativa di vedere una nuova narrazione, una reinterpretazione dei codici della maison attraverso il suo sguardo, piuttosto che un’estensione della sua visione per Gucci.

Il rischio di adagiarsi su formule vincenti del passato può diventare un ostacolo per l’evoluzione stilistica che una maison come Valentino si è col tempo guadagnata e meritata.

Si potrebbe concludere l’analisi di questo primo approccio solo con queste considerazioni, ma sarebbe corretto? Risulta evidente che definire la visione di Michele egoistica e/o autocentrica sarebbe decisamente erroneo, facendo solo anche una piccola gita fuoripista tra gli archivi di Valentino.

Ai più attenti, osservando i capi presentati, apparirà evidente il rapimento di Michele da parte della bellezza dell’archivio storico di Valentino Garavani, molti dei capi, infatti, sono un diretto omaggio alle vecchie glorie di casa Valentino, con particolari riferimenti a patterns e design degli anni ‘60 e ‘70, tra cui figurano gli iconici look dell’ex first lady, Jackie Kennedy.

Un vero tocco di classe che ha sottolineato l’importanza delle origini e della storia nella continua evoluzione del brand, oltre che una spiccata capacità di ricerca e stilismo da parte di Michele stesso. 

Alla luce di queste considerazioni viene da chiedersi: e se questa fosse un’occasione non tanto di rinascita, ma di arricchimento, di formazione, e di modernizzazione sia per il brand che per il designer? 
Inizio significa adattamento e, nonostante qualche passo incerto, il viaggio di Michele con Valentino è appena iniziato.

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Dior Cruise25: regale estetica punk

Nel verde cuore pulsante delle maestose Highlands scozzesi, tra le radure sconfinate e le antiche pietre che circondano il maestoso giardino del Drummond Castle, Maria Grazia Chiuri presenta per Dior la sua collezione Cruise 2025. Questo scenario incantato, impregnato di una serenità magica, ha fatto da sfondo a una sfilata che ha saputo unire la fredda quiete del paesaggio scozzese con un’audace estetica punk.

La location scelta per la sfilata non è casuale, lo stesso Christian Dior, nel 1951 aveva scelto le colline scozzesi per presentare la sua collezione primavera estate di quell’anno. Grazie a questo viaggio nella memoria, la collezione di Chiuri ha immediatamente trasportato gli spettatori in un’altra epoca.

L’aria fresca e la luce morbida del crepuscolo hanno creato un’atmosfera di pace e introspezione, accentuata dal suono delle cornamuse e dal canto degli uccelli. Questo ambiente sereno ha fatto da perfetto contrappunto alla collezione presentata.

Essa sorprende sopratutto per il suo coraggioso contrasto. Dior ha saputo mescolare con maestria un’anima sorprendente metal e trasgressiva con elementi della tradizione scozzese. Il risultato? Un mix audace ma classico che ha catturato l’essenza del punk senza perdere di vista l’eleganza intrinseca che caratterizza da sempre il marchio.

Le modelle sfilano, come guerriere che non mancano di dimostrare la loro impetuosa potenza bellica sfoggiando biker boots e abiti vellutati talvolta decorati in pizzo con particolare accortezza nei dettagli, che hanno definito l’elaborato complessivo. Importante è stato il ruolo del tartan su lana, palesato nelle sfumature più variegate dal blu e rosso, al giallo, viola e al senape.

Non è mancata la presenza del kilt, simbolo immortale della tradizione locale, abbinato per l’occasione a giacche di pelle decorate con spille e catene e bomber di nylon, cocker e maglie metalliche, donando una grinta sensuale e maestosa. Il tutto è circondato con eleganza da mantelle in matelassé strutturato e impreziosite da fantasie Toile de Jouy.

Gli accessori sono altrettanto protagonisti all’interno della collezione: borse decorate con motivi tartan, guanti in pelle e cinture borchiate hanno completato gli outfit, sottolineando l’incontro tra lo spirito ribelle e le secolari tradizioni. La tranquillità del castello scozzese ha creato un ambiente quasi mistico, in cui la collezione ha brillato ancora di più in virtù del contrasto.

In un mondo in cui spesso regnano caos e frenesia, la gita fuoripista di Dior nelle terre scozzesi ha offerto una visione di bellezza e di armonia, dove l’audacia del punk incontra la calma della tradizione.

Maria Grazia Chiuri porta in essere la celebrazione di una equilibrata dualità, tra pace e ribellione, tra passato e presente, dimostrando ancora una volta la capacità di Dior di innovare senza tradire le proprie radici. Una collezione che invita a riflettere su come i contrasti possano convivere, creando qualcosa di unico e affascinante.

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MET GALA 2024: i vincitori

Il Met Gala ha ancora una volta catturato l’attenzione globale. Il tema di quest’anno si è palesato in una celebrazione dell’irrazionale e dell’immaginario che ha trovato la sua massima espressione negli straordinari look indossati da alcune delle più grandi celebrità ed icone del momento.

Maison Margiela, sotto la guida creativa di John Galliano, ha abbracciato il tema con una visione che mescola abilmente realtà e sogno. La casa di moda nota per il suo approccio deconstruttvistico e innovativo si è perfettamente allineata con le astratte richieste del tema dell’evento per il 2024.

Tra gli highlights più notevoli della casa parigina vi è sicuramente il look di Zendaya. Conosciuta per le sue audaci scelte in ambito di moda, specialmente durante le passate edizioni del gala, la star californiana ha sfilato sul red carpet in un abito che sembrava fluttuare tra sogno e realtà.

L’outfit, un’elaborata creazione in tulle e seta con inserti iridescenti, sembrava catturare e riflettere la luce in modo etereo, creando un effetto quasi illusorio che ha lasciato il pubblico senza fiato.

Kim Kardashian, da parte sua, ha optato per un look che ha ridefinito il concetto di glamour surrealista. Il suo abito, una struttura complessa di tessuti traslucidi e riflessi metallici, accoppiato ad un busto che ha decisamente accentuato la silhouette dell’esponente di una delle famiglie più seguite al mondo, ha proiettato una visione futuristica con dettagli floreali che si sono fusi perfettamente con l’estetica richiesta.

Il tema del Met Gala per il 2024 ha invitato i designer a esplorare le profondità più surreale della realtà, deliziando tramite un abbandono della logica a favore dell’esplorazione dell’inconscio e dell’irrazionale. Maison Margiela ha interpretato il tema attraverso l’uso di tecniche sperimentali di taglio e costruzione degli abiti, oltre che attraverso l’uso audace di materiali e texture.

La scelta di questi look non solo evidenzia la maestria tecnica di Margiela, ma sottolinea anche l’impegno della casa di moda nell’essere all’avanguardia dell’innovazione nel design, dimostrando ancora una volta perché è considerato uno dei pilastri fondamentali nell’industria della moda odierna.

Sebbene Maison Margiela si sia concentrata giù sul lato surrealistico del tema di quest’anno, Balmain dal canto suo ha ugualmente catturato l’attenzione e merita di essere annoverato tra i “vincitori” della serata grazie alla sua sorprendente interpretazione del tema più orientato sul concetto dello scorrere del tempo con una serie di look scolpiti direttamente sulla sabbia. 

L’oracolare direttore creativo di Balmain, Olivier Rousteing, ha accettato la sfida del surrealismo con un approccio radicalmente innovativo, utilizzando la sabbia come elemento principale nei suoi design, perfino nel suo stesso look, indossando una singolare t shirt con sopra scolpito il proprio volto.

Tecnica simile è stata utilizzata sulla cantante sudafricana Tayla, che ha portato sulla scalinata del MET un’abito a sirena fatto interamente di sabbia, quest’ultima, infusa e compattata direttamente nei tessuti, ha creato un effetto visivo straordinario che ricordava sculture mobili, dando l’impressione che gli indumenti fossero stati forgiati dalla terra stessa.

Questo uso della sabbia non solo ha aggiunto una dimensione tattile e tridimensionale agli abiti, ma ha anche invocato il surrealismo attraverso la sua capacità di trasformare un materiale quotidiano in qualcosa di straordinariamente lussuoso. L’effetto complessivo era quello di una delicata erosione che rivelava forme e strutture nascoste, riflettendo perfettamente il tema del gala di esplorare l’irrazionale e l’immaginario.

Balmain ha mostrato ancora una volta che la creatività nel design può andare oltre i confini tradizionali del tessuto e del filo, introducendo materiali non convenzionali nella moda di alta gamma e dimostrando che la sua visione artistica è tanto audace quanto quella di Maison Margiela. Questi contributi hanno reso il Met Gala 2024 un campo di battaglia glorioso di innovazione e immaginazione, dove sia Maison Margiela che Balmain hanno brillato come veri visionari.

La vittoria del surrealismo al Met Gala 2024 non risiede quindi solo nell’eccezionalità dei costumi, ma nel modo in cui ha stimolato gli stilisti a esplorare e reinterpretare la realtà. Ogni abito rappresentava una fusione tra arte e moda, un dialogo tra il visibile e l’invisibile, tra il conscio e l’inconscio.

La serata si è dimostrata ancora una volta un trionfo della creatività e dell’innovazione, celebrando non solo stili individuali ma anche il potere collettivo della moda di sfidare, provocare e ispirare.

In sintesi, il Met Gala 2024 non è stato solo un’occasione per celebrare il glamour e la bellezza estetica, ma anche un momento per riflettere su come l’arte possa prendere vita per diventare un mezzo potente per esplorare e reinterpretare la nostra comprensione del mondo.

Con ogni piega di tessuto e con ogni scelta di design audace, il surrealismo ha dimostrato di essere il vero vincitore, lasciando ancora una volta un’impronta indelebile sulla cultura popolare e sulla moda contemporanea.

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Alessandro Michele da Valentino: perché si, perché no. Analisi di un cambio di rotta.

In quello che è un turbinio di eleganza e sogno, maison Valentino, dopo l’addio al suo amato generale, Pier Paolo Piccioli, da il benvenuto nel suo regno ad Alessandro Michele, (ormai ex) paladino di casa Gucci, in quella che pare essere una promessa di una nuova era di rinnovata audacia e sperimentazione artistica.

La carica di direttore creativo rappresenta un ruolo assai decisivo per ogni casa di moda che si rispetti, egli può rappresentare la benedizione o la condanna (sia dal punto di vista stilistico che economico) per il suo brand.

Per constatare l’impatto prorompente che questa figura ha avuto sulla storia della moda ci basti pensare alle metamorfosi estetiche che i marchi più famosi hanno subito nel corso degli anni.

Geni della moda come Karl Lagerfeld per Chanel, Tom Ford per Gucci e Phoebe Philo per Celine, hanno adattato le firme nate in un passato che sembra distante ormai anni luce al mondo moderno con stravaganza, dinamicità e audacia.

Questi direttori creativi non solo hanno risollevato i rispettivi marchi, ma hanno anche lasciato un’impronta duratura su tutta l’industria, dimostrando il potere della visione creativa nel plasmare le tendenze, influenzare i gusti e, ultimamente, determinare il successo commerciale. L’importanza di un direttore creativo, quindi, non può essere sottovalutata, poiché è spesso sinonimo del destino stesso di un marchio nella volatile arena della moda.

Se è vero che la storia è destinata a ripetersi, il recente passaggio di testimone fra Pier Paolo Piccioli ed Alessandro Michele alla guida della Maison Valentino potrebbe segnare un importante svolta oppure trasformarsi nel volo di Icaro per la maison romana.

Sotto la guida di Pier Paolo Piccioli, Valentino ha posto in essere la rinascita del romanticismo, con collezioni che mescolavano abilmente l’eleganza classica della maison con una sensibilità moderna. Il suo talento nel bilanciare questi due mondi ha portato la casa di moda fondata da Valentino Garavani a nuove vette di successo e riconoscimento. L’arrivo di Alessandro Michele segnerebbe tuttavia un nuovo capitolo per il brand.

Michele, noto per il suo lavoro rivoluzionario da Gucci, ha reinventato il marchio con il suo debutto nel 2015. La sua visione unica ha rivitalizzato completamente il marchio, introducendo una nuova estetica che mescola stili vintage, romanticismo, e un senso di eclettismo stravagante.

Michele ha trasformato l’identità visiva del brand, introducendo una nuova era caratterizzata da un mix audace di stampe, colori e influenze storiche, che vanno dal Rinascimento al Rock ‘n’ Roll, il tutto unito in una sofisticata estetica genderless che ha inevitabilmente ampliato l’approccio di Gucci verso una visione di inclusività, celebrando la diversità in tutte le sue forme attraverso campagne pubblicitarie, casting di modelle/i e progetti di vario tipo. Intraprendendo inoltre importanti iniziative verso la sostenibilità, puntando a ridurre l’impatto ambientale delle sue collezioni.

Lo stile di Michele si è inoltre reso protagonista di collaborazioni uniche e spesso inaspettate con artisti, designer e marchi al di fuori del tradizionale ambito della moda, arricchendo l’offerta con una fresca creatività. Basti pensare agli innumerevoli look firmati Gucci sfoggiati negli ultimi anni da quelli che sono gli idoli della generazione Z come Achille Lauro, la band dei Maneskin ed Harry Styles.

Nonostante questo nuovo connubio possa risultare come una fonte di grande entusiasmo e aspettativa, esso non ha mancato di generare dubbi riguardo a potenziali svantaggi e sfide in particolare per un marchio con un’eredità e un’estetica tanto distintivi come Valentino.

Ciò che più attanaglia gli appassionati del fashion system è il possibile divario tra le visioni estetiche di Michele e l’heritage visivo lasciato da Piccioli. L’estetica unica e distintiva del primo, caratterizzata da un approccio eclettico, potrebbe non allinearsi perfettamente con l’eredità classica e il romanticismo sofisticato che hanno così scrupolosamente definito Valentino.

Questa divergenza potrebbe richiedere un periodo di adattamento per i clienti abituali e gli ammiratori del marchio. Un cambiamento troppo radicale nell’identità visiva e nel posizionamento di mercato di Valentino potrebbe alienare parte della sua clientela tradizionale, che oramai si identifica con l’attuale immagine del marchio.

Ciò porterebbe inevitabilmente le prime collezioni sotto la nuova direzione ad essere sottoposte a un intenso scrutinio. Il pubblico potrebbe non reagire favorevolmente al nuovo corso, soprattutto se percepiranno un allontanamento dalle radici e dai valori tradizionali di Valentino.

La principale sfida sottoposta a Michele sarà quindi il dover bilanciare la sua visione creativa con le aspettative commerciali, mantenendo l’alta qualità e l’artigianalità pur introducendo innovazioni e nuove direzioni.

D’altro canto, i successi passati di Michele a Gucci potrebbero tuttavia creare aspettative irrealistiche per il suo ruolo in Valentino. La pressione per replicare quel successo potrebbe influenzare le decisioni creative, con possibili impatti sul brand. La transizione tra direttori creativi richiede una gestione delicata sia internamente che esternamente. La capacità di Michele di guidare il team di Valentino, rispettando la cultura aziendale esistente mentre implementa la sua visione, sarà cruciale.

Nonostante questi potenziali svantaggi, è importante sottolineare che un cambio di direzione creativa offre anche l’opportunità di rinnovamento e può portare a un’era di innovazione e successo. Molto dipenderà da come Michele interpreterà il DNA di Valentino e da come riuscirà a integrare la sua visione creativa con i valori fondamentali del marchio.

Mentre guardiamo avanti con trepidazione e curiosità, è chiaro che le intrecciate radici della tradizione di casa Valentino, con Alessandro Michele al nuovo timone potrebbe essere destinato a rifiorire guidandoci in un futuro dove la bellezza e l’arte si fondono in maniera sempre più affascinante e sorprendente.

Il mondo della moda dice addio a Roberto Cavalli

La scomparsa di Roberto Cavalli, avvenuta lo scorso 12 Aprile, segna per il mondo della moda non solo l’addio ad un’icona stilistica, ma anche la perdita di un visionario che ha contribuito a alla creazione del lato più “selvaggio” del glamour con un coraggio e un’estetica inconfondibili.

Cavalli non era semplicemente un designer; era un pittore del tessuto, un maestro dell’esuberanza visiva, il cui lascito continuerà a influenzare l’industria per generazioni.

Nato a Firenze nel 1940, Roberto Cavalli è figlio di una stirpe segnata dall’arte e l’artigianalità, suo nonno, Giuseppe Rossi, era un membro del movimento macchiaioli, precursori impressionisti italiani. Questo background artistico si rifletteva chiaramente nelle creazioni di Cavalli, dove ogni abito era una tela, ogni stampa un’audace dichiarazione.

Cavalli debuttò nel mondo della moda nel 1970 con una serie di stampe su maglia che catturarono l’attenzione di leggende del campo quali Hermès e Pierre Cardin, segnando l’inizio della sua ascesa meteorica.

Tuttavia, fu il suo innovativo processo di stampa su pelle che rivoluzionò il design di moda, fondendo tecnica e arte in modi che prima di lui erano impensabili. Con questa tecnica, il cuoio si trasformò in un materiale morbidamente lussuoso adornato con disegni audaci e colori vibranti.

Roberto Cavalli è stato il pioniere dell’uso della stampa animalier nella moda di lusso, facendo della fantasia leopardata un simbolo di sensualità e audacia. Le sue passerelle erano un tripudio di colori, un incontro tra il selvaggio e il raffinato, spesso impreziosite da accenti in pelle e denim lavorati con maestria.

L’impatto di Cavalli sulla moda è tangibile non solo nelle sue creazioni, ma anche nell’approccio che ha
ispirato in altri designer. Ha reso il lusso accessibile, non solo in termini economici ma anche estetici,
dimostrando che la moda può essere al tempo stesso esuberante e elegante.

La sua visione ha trasformato il modo in cui la gente percepisce il vestire: meno come una necessità e più come una forma di espressione personale e di arte.

Uno dei valori più importanti per Cavalli era senz’altro la famiglia, avendo fondato il suo impero con l’aiuto della moglie Eva durante i primi anni. Il suo marchio è cresciuto fino a diventare un nome familiare, simbolo di un lusso sfacciato ma sofisticato.

La sua scomparsa segna la fine di un’era, ma il suo stile rimarrà sempre nelle collezioni che continuano a portare il suo nome. Cavalli aveva inoltre ricevuto una laurea honoris causa in Fashion Management dalla Domus Academy di Milano il 18 giugno 2013, dove ha tenuto una lezione magistrale al termine della cerimonia.

Roberto Cavalli non è stato solo un designer; è stato un artista del nostro tempo, un vero innovatore che ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo della moda. Il suo lascito vive nelle linee audaci, nelle texture ricche e nelle stampe vivaci che continueranno a adornare gli amanti della moda di tutto il mondo.
Oggi, mentre il mondo della moda piange la perdita di un gigante, celebriamo la vita di un uomo che ha
osato sognare in colori vivaci. Roberto Cavalli, il visionario, l’artista, l’icona, sarà profondamente rimpianto, ma sicuramente, mai dimenticato.

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Thom Browne e le favole

C’era una volta, in mezzo alla frenesia della grande mela, una cornice desolata e quasi surreale, dove un paesaggio innevato celava al suo interno una casa in disuso. Appena fuori di essa sorge un albero, una volta uomo, le cui braccia sono state sostituite da rami scuri e appassiti presenti anche sul suo copricapo.

Questo particolare “arbusto” però indossa un enorme piumino, lungo 9 metri, dal quale fuoriescono quattro piccoli modelli in completi eleganti compresi di giacca nera e shorts, per presentare la linea bambini di Browne.

I quattro “neonati” si apprestano poi a seguire la prima modella, palesatasi come un presagio funesto, avvolta in una stola di smoking ormai logoro, al di sotto del quale un corpetto trompe l’oeil in twill di seta bianca tenta di donare quel senso di eleganza evidentemente ormai perso nel tempo, ma non ancora del tutto spento.

Poco dopo inizia la consueta presentazione della collezione, composta da abiti sartoriali e cappotti dalle silhouette esagerate e imponenti. Arricchiscono l’elaborato anche tweed di denim stracciato e rose cucite in raso, flanelle di lana e intarsi di velluto, applicati su moiré di seta bianca. Completano il tutto poi accessori quali calzature con tacco imprigionate all’interno di uno strato di vinile impermeabile.

La palette cromatica non presenta toni particolarmente brillanti, il bianco e il nero la fanno da padroni, sebbene si accennino delle sfumature di grigio e dei piccoli dettagli rifiniti in rosso, blu e bianco per sottolineare anche in maniera minima l’appartenenza al brand.

Un’atmosfera gotica e genderless!

Accompagnati da una colonna sonora cheta e dalla risonanza spettrale, unita alla voce dell’attrice Carrie Coon, che vocalmente interpreta poesie di Edgar Allan Poe, i modelli procedono in linea discostante, alcuni decisi, altri incerti,  quasi spaesati, persi in un’atmosfera gotica la cui potenza visiva risulta evidente, infatti, nulla accade se non questo confuso avanzare dei “corvi” di Browne, eppure è impossibile distogliere lo sguardo, tutti gli spettatori sono rapiti dalla scena presentatasi dinanzi ai loro occhi.

Quest’esecuzione, unita all’accostamento di diversi materiali, crea una qualche sorta di armonia in mezzo all’oscurità angosciante, ma che allo stesso tempo trasmette tranquillità e speranza, ed è così che il caos si trasforma in bellezza. Complice di questo anche un’estetica genderless, mai assente nei moderni fashion show. Accade infatti che anche i modelli di sesso maschile presentano il volto decorato con trucco scenico completo di un acceso rossetto rosso cremisi, chiaro rimando al cinema muto degli anni ruggenti.

Lo show della collezione Thom Browne, curato dalla truccatrice britannica e creatrice di “wearable artIsamaya Ffrench, si conclude poi esattamente come era cominciato, con una ulteriore performance a precedere l’uscita finale dello stilista che porta con sé un enorme cuore scarlatto, in regalo al suo compagno (lo show si è infatti tenuto il giorno di San Valentino).

Accade che all’improvviso, un enorme insetto in palette dorata (interpretato dalla modella Alex Consani) si palesa all’interno della scena. Il coleottero viene spogliato della sua corazza in jacquard dai quattro neonati visti all’inizio, che rivelano così un completo composto da un cardigan con bottoni dorati e una gonna ampia rItraente il lugubre volatile, completa il tutto un fiocco con i colori del brand.

La peculiarità di quest’ultimo pezzo è rappresentata dalla distinzione cromatica rispetto ai pezzi proposti in precedenza, la quale tonalità spicca in mezzo alle altre lasciando l’atmosfera lugubre e scura e portando un messaggio di luce e speranza.

Chi acclamava lo stile minimal come top trend di questa nuova stagione dovrà immancabilmente ricredersi alla vista di quest’esecuzione. Thom Browne e non solo, riporta in auge la fantasmagoria tipica degli anni 90, dove a palesarsi sulla passerella non era solo un prodotto, ma una vera e propria performance artistica, che ha fatto appassionare generazioni intere al mondo della moda. Sebbene l’ispirazione al Corvo del già citato Edgar Allan Poe risulti evidente, dopo uno show del genere, si può dire di tutto, ma non certo “mai più”.

Courtesy of Pantone 5

Peach Fuzz, l’abbraccio dell’alba per un nuovo inizio

Il Pantone Color Institute, servizio di consulenza interno a Pantone che prevede le tendenze cromatiche globali e fornisce consulenza alle aziende sul colore nell’identità del marchio e nello sviluppo del prodotto per l’applicazione e l’integrazione del colore come risorsa strategica, ha decretato il colore ufficiale del 2024, e questa volta a rappresentare l’anno in corso sarà il Pantone 13-1023, anche detto “Peach Fuzz”. 

L’annuncio non segna solo una svolta di tendenza nel colore generale rispetto all’anno appena passato ma anche il 25º anniversario del programma Pantone Color of the Year, iniziato nel ‘99 quando venne annunciato il primo colore da parte di Pantone, il 15-4020, “Cerulean Blue”. Questa iniziativa si era proposta come obiettivo il voler riflettere attraverso una scelta di carattere cromatico lo stato d’animo della società a livello globale.

Peach Fuzz nella sua leggera sonorità trasmette in chi lo osserva una sensazione di calorosa bontà e cheta morbidezza. Attraverso questa sfumatura, che ricorda un’alba romantica, si insinua in noi la convinzione di poter sempre avere la possibilità di rincominciare da capo, in un periodo storico dove più che mai è importante perseverare nella ricerca di una qualsiasi speranza.

La pandemia di COVID-19 unita tutti gli avvenimenti socio politici che hanno travolto il mondo negli ultimi anni hanno reso le comunità sempre più tese e distaccate le une dalle altre. Attraverso la scelta di questo colore, Pantone sembra voler sottolineare quanto invece il senso di comunità e la gentilezza possono essere un valore aggiunto a quello che è il comporsi della società, donandoci un senso di pace interiore, che abbiamo il dovere di condividere con il mondo che ci circonda, invitandoci inoltre ad arricchire e nutrire la nostra mente in una colorazione tenue e sofisticata che crea una chiara amalgamazione d’idee fra antico e contemporaneo.

A seguito di tale scelta, Laurie Pressman, Vicepresidente del Pantone Color Institute ha dichiarato:

“Con il Pantone Color of the Year 2024 di quest’anno, vediamo una maggiore attenzione verso la comunità e le persone di tutto il mondo che riformulano il modo in cui vogliono vivere e valutano ciò che è importante, ovvero il conforto di essere vicini a coloro che amiamo. Il colore è quello il cui abbraccio caldo e accogliente trasmette un messaggio di compassione e la cui accogliente sensibilità unisce le persone e arricchisce l’anima”

Un cambio di rotta evidente rispetto a quello che fu il colore del 2023, Viva magenta 18-1750, che racchiudeva in sé delle sfumature scure dall’impatto più crudo e violento, quasi in linea con i tragici eventi che hanno scandito lo scorrere dell’anno passato.

Il colore ha trovato già largo uso nel mondo dell’Interior design, da quest’ultimo ritenuto creatore di atmosfere accoglienti e tranquille, costruendo spazi volti al relax e alla crescita personale. Questo colore sembra infatti donare a chi lo guarda delle sensazioni che vanno oltre la vista ma che nutrono anche il gusto e l’olfatto, ricordando il dolce frutto che tutti noi abbiamo assaggiato nelle calde giornate d’estate e che ci ha donato sollievo attraverso la sua freschezza e la dolcezza in esso racchiuse.

I suddetti ricordi che questo colore rifiorisce, contribuirebbero a istigare in noi dei pensieri di tranquillità che possono aiutarci a rivivere i momenti più idilliaci della vita riportandoci nel passato preparandoci però per il futuro, ricordarci perché bisogna stare vicini alle persone che amiamo in un abbraccio caldo e accogliente.

Un colore che sussurra innovazione e guarigione, ricerca della serenità e di una felicità non esclusiva, ma che può essere condivisa, amata e provata da tutto il genere umano, qualcosa di cui tutto il mondo, ora più che mai, necessita.

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“Una di noi”, il ritorno a Firenze di Luca Magliano

Una lunga discesa dalla scala frontale del Nelson Mandela Forum di Firenze segna l’inesorabile ritorno nel capoluogo toscano di Luca Magliano, che presenta ufficialmente la sua collezione Fall/Winter 2024-2025 in occasione di Pitti 105.

La collezione presenta un assortimento di cappotti oversize e capi di maglieria riutilizzati come giacche, completi eleganti la cui morbidezza accarezza gli occhi dello spettatore e borse in plastica che fungono da accessori, completano poi l’opera calzature da lavoro riadattate in chiave street. Questo “ricco” assortimento trova in sé anche spazio per la politica, con una t-shirt rappresentante una caricatura di Leonardo da Vinci imbrattata dalla dicitura «Leonardo una di noi». 

I capi della collezione sono stati sviluppati in collaborazione con brand di punta della manifattura made in Italy: Untag (Per i binder); Borsalino (Per i cappelli); Kiton (Per i capi sartoriali).

I modelli percorrono la scalinata in un ritmo lento, costante, pigro, quasi trascinato, non curante della velocità con cui il mondo avanza intorno a loro nel suo continuo defluire d’impazienza.

Completa l’esibizione un’impegnativa risalita della scalinata, stavolta di spalle, sulle note di “La domenica delle Salme” di Fabrizio De Andrè e Mauro Pagani. Il brano, da sempre stendardo della tipica provocazione deandrediana, rappresenta il rifiuto della sempre più dilagante stretta del politicamente corretto in un’atmosfera ribelle e irreverente, calata su di un mondo di cupo sconforto.
Gli abiti di questa collezione sembrano rappresentare il mondo che ci circonda. Ciò che può sembrare un accostamento pigro e senza impegno, in realtà nasconde un significato più profondo.

Esso non è il risultato del tanto famoso “tuffo nell’armadio” ma bensì un’espressione pura e semplice di individualità in un mondo che dopo guerre e pestilenza tenta di ritrovare un’armonia nella sua semplicità.

Pitti Uomo si sa, è da sempre la kermesse della moda maschile ed è proprio in questo che Magliano tenta di differenziarsi dando spazio anche alla figura femminile, riadattata in chiave più fluida, confermando per l’ennesima volta il superamento del concetto che fu la distinzione tra capo da uomo e capo da donna. Tutti i modelli infatti, sebbene di generi diversi, appaiono androgeni e perfettamente adagio nella loro essenza, che va oltre il genere di nascita.

La collezione rielabora il tradizionale concetto di mascolinità in una chiave più moderna e rilassata, senza dimenticarsi di lasciare un’impronta queer sul terreno dove il dandy e lo skater hanno trovato il connubio.

A cinque anni dal suo debutto in Pitti, Magliano lascia dietro di sé una passerella dal messaggio politico deciso e forte, anche nella sua semplicità attraverso un’eleganza esclusiva, ma popolare.

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L’esodo dei direttori creativi. Una Waterloo della moda?

Il 2023 sembra essersi consolidato all’interno della storia della moda come l’anno dell’esodo dei direttori creativi.

Molte di queste figure hanno infatti abbandonano i brand in cui hanno prestato servizio per anni costringendo le varie case di moda a cambi di direzione improvvisi e, talvolta, mal gestiti.

Per molti l’origine di questo fenomeno risale al Novembre del 2022, quando Alessandro Michele ha annunciato ufficialmente la sua uscita dalla maison Gucci, di cui era la guida fin dal 2015, cedendo la carica a Sabato De Sarno.

Qualche mese più tardi, a marzo 2023 vi è stata poi la dipartita totalmente a sorpresa di Jeremy Scott da Moschino, dopo dieci anni di attività, sono seguiti poi Serhat Işık e Benjamin A. Huseby da Trussardi, di cui erano alla guida creativa da due anni, di Bruno Sialelli da Lanvin, dopo quattro anni, e di Charles de Vilmorin daRochas, dopo due anni. A maggio dello stesso anno viene annunciato che Rhuigi Villaseñor avrebbe lasciato Bally e poi a settembre che Sarah Burton avrebbe abbandonato la direzione creativa di Alexander Mcqueen, venendo sostituita da Sèan McGirr, in precedenza responsabile del womenswear di Dries Van Noten.

A fronte di una simile macchia d’olio di eventi, non si può fare a meno di chiedersi, quali potrebbero essere le cause?

C’è chi ha puntato il dito contro la cultura dell’hype social, attraverso la quale alcune aziende avrebbero puntato alla visibilità mediatica dei designer a discapito della competenza e dell’esperienza. Sarebbe il caso di Ludovic De Saint Sernin, uno dei più giovani designer della scena ad aver ottenuto il maggior successo non solo grazie ai suoi capi dall’estetica genderless e anticonvenzionale, ma anche i suoi grandi numeri social, proprio grazie a questo è stato scelto da Demeulemeester per guidare il brand, ottenendo però un ben poco glorioso risultato che ha portato il designer a rinunciare alla carica nel maggio 2023, a solo sei mesi dal suo inserimento, dopo una sola stagione. Le cause sarebbero da attribuire a divergenze con il management, come riportato da Buisness of Fashion.

Sarebbe alquanto inopportuno mettere in dubbio il talento di Sant Sernin e degli altri giovani designer coinvolti in casi simili, tuttavia non occorre molto ingegno per capire che sfruttare i numeri dei social non è una buona tattica commerciale ne tantomeno creativa, dopotutto se la moda si basa anche sul concetto di apparenza, non si può pensare che essa arrivi a sostituire la competenza e l’estro creativo, oltre al fatto che lavorare per una grande maison non è come occuparsi del proprio brand indipendente, ci sono delle linee guida da seguire e una storia da rispettare.

Alcuni dei grandi marchi sembrano aver deciso che la creatività debba passare in secondo piano rispetto alla risonanza mediatica, preferendo il concetto di storytelling al concetto di storydoing.

Ma è veramente questa la soluzione migliore per l’industria?

Tralasciando gli aspetti economico-commerciali, il compito principale della moda è quello di diffondere bellezza certo, ma anche ideali che talvolta nulla hanno a che fare con l’engagement.

Alcune aziende sembrano quasi voler eclissare totalmente la figura del direttore creativo, puntando sul concetto di “spettacolo” per le sfilate, volte ad intrattenere il pubblico attraverso location suggestive ed effetti speciali, facendo quasi passare i modelli come delle comparse. Ciò che alcuni piani alti ignorano però, è che anche la più sportiva e lussuosa delle auto perde la sua utilità senza un guidatore, e questo vale anche per la moda. La direzione creativa è fondamentale al fine del proseguimento della missione del brand. Prendendo in esame il già sopracitato Gucci, che dalla dipartita di Michele ha annaspato verso direzioni non ben delineate, all’arrivo del nuovo art director, Sabato de Sarno, che ha ufficialmente debuttato per la maison milanese alla Milan Fashion Week 2023, si è potuta osservare una collezione che ha piacevolmente sorpreso, mantenendo vivo lo spirito del casa madre pur distanziandosi da quella che era l’effettiva visione di Michele.

L’esperienza, del resto, non ha nulla a che fare con likes e condivisioni, ma più con l’anonimato, e la storia lo insegna molto bene: Michele stesso aveva lavorato per anni nell’ufficio stile del brand, e De Sarno dal canto suo vanta una carriera di 13 anni nel design team di Valentino; quest’ultimo ha incoronato come art director Pierpaolo Piccioli, disegnatore di accessori per la maison dal 1999; Balenciaga ha invece scelto Demna Gvasalia, che ha militato a lungo nei team di Maison Margiela e Louis Vuitton, e la lista potrebbe continuare.

Alla luce di queste considerazioni, è errato addossare le responsabilità di una mancanza di direzione al singolo designer, e questo deve portarci a pensare che il problema sia più in alto, ai vertici, e casi come Gucci ci dimostrano che un altro fattore importante è il tempo, che ahimè, spesso l’industria non concede.

Tra le cause di questo esodo della moda, si è inoltre sollevata l’ombra delle discriminazioni e del razzismo, ombra paradossalmente sempre più chiara, se si osservano le statistiche: il 97% dei direttori creativi sarebbero infatti uomini e solo lo 0,1% delle agenzie pubblicitarie sono fondate da donne. Se poi adoperiamo come riferimento i gruppi di lavoro principali del fashion system, i dati appaiono ancora più chiari: per Kering, i designer donna di maggior rilievo all’interno dell’industria sono solo il 22%, 0% se si parla di donne non caucasiche.

Per LVHM: 0% donne, 0% di designer non caucasici per ambo i sessi.

Per Puig: 0% donne (con Harrison Reed come solo direttore creativo non binario)

Ultimo ma non per rilevanza Richemont, che dopo la dipartita di Gabriela Hearst come direttore creativo di Chloè, si colloca anch’esso nella lista dei gruppi con 0% art director donne.

Secondo il magazine AdAge inoltre, il 50% delle donne sogna di aprire un proprio business, ma solo il 12% pensa veramente di riuscirci. Accade molto spesso infatti che una volta entrate nel settore, molte giovani donne (60%) ritengano che i ritmi imposti dalle professioni creative siano incompatibili con altri piani quali la creazione di una famiglia. La privazione della possibilità di equilibrio tra lavoro e vita privata, unita alla sempre presente problematica della paygap chepone le donne in una posizione di svantaggio perennemente in crescita, e questi fattori “indottrinerebbero” poi le donne ad abbandonare gli studi o a non rientrare nel settore dopo la maternità.

La mancanza di esempi concreti di donne al potere poi, rappresenta un grande ostacolo dal punto di vista della determinazione per le donne che si trovano a voler realizzare un sogno senza però un modello di riferimento per esso.

Risulta frustrante e paradossale pensare come un ambiente da sempre inclusivo ed incoraggiante come il fashion system presenti ancora oggi il problema della mancanza di figure femminili a capo della direzione creativa, e prendendo in considerazione tutti i dati citati precedentemente non si può fare a meno di chiedersi se si stanno davvero facendo passi avanti o se ci troviamo di fronte ad una paurosa regressione.

E soprattutto, quali messaggi stanno trasmettendo i reali della moda agli studenti e alle studentesse che decidono di intraprendere il proprio percorso in questa industria? Un rapido sondaggio dimostra come le scuole di moda siano odiernamente frequentate più da ragazze che da ragazzi, quale potrebbe essere il loro destino una volta lasciati i banchi? Una giovane donna che vuole veramente arrivare ad occupare una posizione importante in questo campo come può sentirsi realmente stimolata?

Se la moda è veramente un veicolo per messaggi rivolti alla comunità, forse allora si dovrebbe pensare a come migliorare la comunicazione, e forse così, il numero dei like e il genere di appartenenza cesserebbero di avere così tanta importanza.