L’Archivio di Max Mara è il crocevia tra il passato ed il futuro tra la memoria e la creazione contemporanea. Struttura fondamentale su cui si muove l’intera azienda, l’Archivio di Max Mara è situato in un palazzo Liberty, un antico calzificio del 1911 a Reggio Emilia, vecchia sede del gruppo Max&Co. All’interno dell’Archivio è conservato un pezzo importante della storia della moda italiana a cui fa capo la curatrice Federica Fornaciari che dal 2003 ha costruito l’Archivio per conservare la memoria storica della maison.
L’Archivio ogni anno si arricchisce di nuove acquisizioni e di collezioni private. All’interno di quest’area il BAI, Biblioteca e Archivio d’Impresa, ho svolto il mio stage che è terminato lo scorso marzo, periodo nel quale sono stati festeggiati i 70 anni dalla fondazione di Max Mara. Ho ammirato e scrutato la memoria storica del brand che viene archiviata con metodo e passione che contraddistingue il brand e costituisce un punto di riferimento importante nella cultura della moda italiana.
Il palazzo è distribuito su tre piani in cui convergono la Collezione Vintage (che raccoglie capi di alta moda di vari designer e capi boutique nazionali e internazionali), la Collezione Storica (che conversa i capi della Maison) e le collezioni di donazioni private e riservatissime.
Nelle due sale principali a pian terreno, sono conservate le riviste storiche e monografie di moda nazionali e internazionali. La Biblioteca che si trova nell’Head Quarter di Max Mara in Via Maramotti raccoglie riviste di periodici, monografie e tendenze che forniscono l’area creativa e gli uffici stile Collezioni di riviste femminili (italiane e non) e bozzetti dei grandi designer come Karl Lagerlfel e Jean-CharlesDe Castelbajac che hanno lavorato con l’azienda come consulenti esterni.
Biblioteca ed Archivio fanno parte dell’area BAI: Biblioteca come ricerca nel presente, Archivio come ricerca nel passato, Impresa come ricerca applicata al futuro. Ricerca e ispirazione, ed Heritage aziendale: sono le due “anime” di BAI che dialogano insieme in un contesto stimolante e attivo.
La storia del brand è molto conosciuta, è stata fondata nel 1951 a Reggio Emilia da Achille Maramotti. L’obiettivo del fondatore è introdurre il processo industriale americano nella cultura sartoriale per creare il primo prêt-à-porter italiano. La parola «Max» è un superlativo, «Mara» è un diminutivo del cognome del fondatore.
Maramotti sceglie il cappotto maschile come icona per il guardaroba femminile. Il cappotto Manuela diviene il capospalla distintivo della casa, in puro cammello con collo a revers, tasche sui fianchi, chiusura a vestaglia e cintura in vita.
Nel 1981, la stilista francese Anne-Marie Beretta, disegna il cappotto 101801, in lana e cashmere di color cammello, contraddistinto dal “puntino”, cucitura tipica dei completi sartoriali da uomo. Attualmente il gruppo opera attraverso una holding (Max Mara Fashion Group) e diverse società operative. Le principali sono sette: Max Mara, Marina Rinaldi (dal nome della nonna di Achille Maramotti), Manifatture del Nord (marchi Pennyblack, Max & Co), Marella, Maxima (rete commerciale), Imax (maglieria) e Diffusione Tessile.
Nel 2006 a Berlino è stata celebrata la prima tappa della mostra «Coats! Max Mara, 55 anni di moda italiana» che racconta il viaggio del brand, a cui si sono aggiunte altre quattro tappe internazionali negli anni successivi.
In archivio confluiscono tantissimi pezzi di mondo a cui Ian Griffiths, direttore creativo dell’azienda contribuisce da sempre con la sua passione per il vintage. E la ricerca di capi e accessori rari insieme a Laura Lusuardi, fashion coordinator del gruppo in cui entrò diciottenne nel 1965. Qui si trova una parte della collezione di Carine Roitfeld, che cura l’immagine del brand, ma anche abiti antichi con servati in scatole ricolme di carta velina, completi appartenuti a Coco Chanel e, naturalmente, tutto lo storico dei cappotti Max Mara.
In Archivio è severamente vietato fare le foto. Le foto riportate sono foto reference di articoli italiani sulla moda da quando l’Archivio di Max Mara ha deciso di aprirsi ai giornalisti negli ultimi anni. Ma rimane pur sempre un luogo di nicchia, chiuso e riservato.