Sono esposte al Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci, le armature di Capucci, non di ferro ma di seta, le cui strutture complesse regnano sulla forza di gravità. Così con la cura della Fondazione Franco Maria Ricci, della Fondazione Roberto Capucci e la storica d’arte Sylvia Ferino, emergono gli abiti del couturier poste in relazione alle opere d’arte già presenti all’interno della struttura neoclassica, appartenenti alla collezione Ricci.
L’idea della mostra nasce dal libro dedicato a Capucci, edito da Franco Maria Ricci nel 1993 in occasione dei trent’anni dalla sua uscita. Sono esposti tutti gli abiti presenti nella monografia, 24 creazioni tra cui i due abiti iconici “Fuoco” 1985 e “Bouganville” del 1989, insieme con 68 bozzetti originali, che vanno dagli anni ’50 agli anni ’90, e la maquette di un abito del 1987. In aggiunta troviamo altri due abiti corti bianchi caratterizzati da maschere in rilievo, non presenti nella pubblicazione ma che si sposano con la collezione permanente del museo.
Tra i fondatori del Made in Italy, rimane nella storia per la concezione dell’abito che va oltre il comune utilizzo, elevandolo a opera d’arte, ragion per cui le sue creazioni collaborano benissimo con le opere che si mostrano tra un plissé e l’altro. Interprete come pochi della natura e delle potenzialità di un tessuto, il concetto di bellezza è sempre stato presente nel suo lavoro, non una bellezza effimera, ma potente e indefinita, come quella dei fiori e delle farfalle, del fuoco e dell’acqua. Il suo legame con la natura trova un’affinità con il luogo dell’esposizione, il più grande labirinto esistente, immerso anche esso nella natura, composto da 200 mila piante di bambù e altre specie diverse.
Creazioni volumetriche, protagoniste e imponenti con la loro bellezza, conosciute come sculture di plissé e taffettà, uniche nel loro genere. Nel corso del tempo, molte star del cinema e del teatro hanno fatto i conti con questa bellezza indossando i suoi abiti, ricordiamo Silvana Mangano nel 1971, Valentina Cortese nel 1987 e ancora June Anderson nel 2002, diventando prova del fatto che gli abiti di Capucci sono una prova di forza, non solo fisica ma anche e soprattutto emotiva.
Un mago del tessuto, tra le tante denominazioni dedicate a Roberto Capucci vi è quella di fare magie con i volumi, le forme, i colori e i tessuti.
Per l’importante occasione, con il sostegno della Fondazione Franco Maria Ricci, alcuni degli abiti sono stati restaurati dal laboratorio Restauri Tessili di Moira Brunori, con sede a Pisa, restauratrice di fiducia della Fondazione Capucci. La sua filosofia viaggia oltre i confini materiali dell’abito e si trasforma in quelle forme ondulate, plissettate e ribaltate che conosciamo come costruzioni d’arte.