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Quando l’arte incontra il design: i gioielli di Federica Scillia

Federica Maria Scillia è una giovane orafa siciliana, designer del gioiello e gemmologa, è anche la
creatrice della collezione “Les Petites”.

Federica Scillia nel suo laboratorio | Fotografia di Simona Di Stefano @simonadst

Classe 1991, nasce a Palermo, e dopo aver conseguito la maturità classica, Federica, sceglie di
frequentare l’Harim, Accademia Euromediterranea di Catania, che le consente di approfondire e
perfezionare le proprie capacità pratiche e artistiche nel settore orafo. Filo conduttore di tutta la sua
vita è stata, infatti, la passione per il disegno e la creazione artigianale, il particolar modo di monili
preziosi.
Conseguito il Diploma di Laurea nell’anno 2017, Federica partecipa e vince un concorso
indetto dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte di Milano che le consente di intraprendere uno
stage lavorativo presso il laboratorio orafo del maestro Salvatore Messina, a Catania, per
perfezionare e mettere in pratica quanto appreso durante gli studi.

Sviluppatesi le sue già innate capacità di apprendimento e di creatività, e subito dopo aver terminato
lo stage, la giovane designer viene assunta dal maestro Messina e per arricchire il proprio bagaglio
professionale, consegue anche un diploma di gemmologia presso IGI Antwerp.
Noi di Madin siamo andate ad intervistarla direttamente nel suo laboratorio:


Raccontaci chi sei!

Sono un’orafa, designer del gioiello e gemmologa orgogliosamente siciliana, ma prima di essere
quanto detto, indubbiamente, sono una “dreamer” una persona che crede nelle proprie potenzialità e
nei propri sogni.


Come nasce la passione per i gioielli?

Indubbiamente la persona che mi ha trasmesso la passione per i gioielli è stata mia madre. Ricordo
che quando ero piccola la ammiravo mentre li indossava, ma, non desideravo solamente emularla,
io avevo desiderio di creare dei gioielli. Ho ritrovato un quaderno, che custodisco gelosamente,
dove da bambina disegnavo le mie parure preziose. Da adolescente, grazie all’aiuto di mio padre e
di alcuni strumenti rudimentali ho poi cominciato a realizzare i miei primi gioielli in filigrana
d’argento.

Dettaglio saldatura | Fotografia di Simona Di Stefano @simonadst


A cosa pensi quando crei?

Immaginate gli ingranaggi di un orologio, perfetti e coordinati tra loro, ecco, questa è l’idea che ho
della mia mente quando creo. Bisogna stare attenti a non commettere errori di esecuzione durante le
varie fasi di lavorazione del gioiello, ma nello stesso tempo, da designer, bisogna saper mettere quel
dettaglio in più per arricchire e rendere unico il gioiello che stai creando.


Come si chiama la tua prima collezione?

La mia prima collezione si chiama “Les petites” realizzata interamente a mano in oro e argento.
Design minimal e linee sottili, questa collezione è stata ideata per chi vuole indossare un dettaglio
prezioso.
Ho voluto provare a mettermi in gioco in prima persona, per la prima volta e devo dire che è andata
piuttosto bene, i gioielli sono stati apprezzati dalle clienti di tutte le età.


Progetti in cantiere?

La vita di un designer è sempre un “cantiere”, ho mille progetti per la testa, ma concretamente sto
già realizzando la collezione primaverile per la linea “Les petites”.

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Il genio e l’avanguardia di Walter Albini

Walter Albini può essere definito come il protagonista indiscusso della moda italiana, il creatore del ready-to-wear, che ha plasmato un’eredità indelebile per il fashion system attraverso la sua straordinaria carriera. Nasce il 3 marzo del 1941 a Busto Arsizio come Gualtiero Angelo Albini, e dopo aver frequentato, come unico ragazzo, l’istituto d’Arte, Disegno e Moda di Torino a soli diciassette anni lavora per riviste e giornali come illustratore nelle sfilate d’alta moda da Roma a Parigi.

E proprio a Parigi, dopo aver incontrato Coco Chanel in persona e Mariuccia Mandelli, Albini torna a Milano, dove intraprende un percorso che avrebbe rivoluzionato il concetto stesso di stile, consolidando il suo ruolo di icona nel panorama internazionale della moda. Si dice che la figura dello stilista, per come la conosciamo oggi, sia nata proprio con Albini e che sia stata la stessa Anna Piaggi a coniare ed utilizzare questo termine riferendosi per la prima volta proprio a Walter Albini, l’artefice del prêt-à-porter, il primo ad inserire nelle sue sfilate la musica.

Nonostante sia un artista e uno stilista purtroppo poco conosciuto, nel mondo della moda e dell’arte in generale, la sua importanza nel contesto del “Made in Italy” è assoluta, e risiede nella sua fervente difesa dell’artigianato italiano e nella promozione di standard qualitativi elevati. Albini, collaborando con rinomate case di moda, ha contribuito a posizionare l’Italia come epicentro di eccellenza nella produzione di abbigliamento e, in particolare, la svolta distintiva nella sua carriera si è manifestata negli anni ’70 quando ha osato presentare collezioni uomo e donna nello stesso défilé. Questo gesto, così audace e progressista per quegli anni, non solo ha anticipato la tendenza all’unisex, ma ha anche ribaltato le convenzioni tradizionali, confermando la sua reputazione di innovatore e anticonformista intramontabile.

Il suo stile distintivo, caratterizzato da linee pulite, tessuti pregiati e attenzione meticolosa ai dettagli, ha definito un’estetica che va oltre le mode effimere, consolidando la sua influenza nel mondo della moda. La sua dedizione all’arte e alla cultura si è manifestata nella collaborazione con artisti contemporanei, integrando opere d’arte nelle sue creazioni e creando un connubio unico tra moda ed espressione artistica. La visione di Albini si estendeva oltre il semplice atto del creare abbigliamento, egli infatti, dando vita per la prima volta alla collaborazione tra la figura del designer e quella del produttore, abbracciò l’idea che la moda fosse un’espressione tangibile di identità e creatività e che attraverso l’unione e la cooperazione di più menti creative ciò potesse acquisire ancora più risonanza.

Questa filosofia ha contribuito a ridefinire il concetto stesso di moda, trasformandolo in un’esperienza a 360°, non più individuale e materiale, ma collettiva, visiva e sensoriale. Seguendo questo suo ideale su ciò che poteva e doveva essere la moda, Walter Albini fu il primo direttore creativo a collaborare con numerose case di moda e disegnare personalmente le loro collezioni, come per Etro con la progettazione di tessuti stampati e per Ferrè nell’ideazione di accessori. 

In conclusione, Walter Albini è stato più di un semplice stilista; è stato un pioniere che ha plasmato il corso della moda italiana. La sua dedizione all’artigianato, la sua audacia nell’innovazione e la sua fusione di moda e arte hanno contribuito a definire il “Made in Italy” come sinonimo di eleganza senza tempo e qualità senza compromessi, rendendo il suo contributo una pietra miliare nella storia della moda mondiale. La sua prematura scomparsa il 31 maggio 1983, a soli quarantadue anni, non ha affievolito l’eredità di Walter Albini, al contrario, il suo impatto perdura, influenzando generazioni successive di designer che continuano a celebrare la sua audacia e innovazione.

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PRADA, ARTE E IDEE

L’interesse che Miuccia Prada ha sempre avuto nei confronti del mondo dell’arte e del collezionismo d’arte non è mai stato un segreto, eppure questa sua passione non viene mai lasciata trapelare nelle sue collezioni di moda o nelle sue boutique a differenza invece di tanti altri famosi fashion brand.

È stata infatti la stessa Miuccia ad affermare più volte la propria volontà di tenere ben separati il mondo della moda ed il mondo dell’arte, al fine di evitare così dei connubi forse in certi casi troppo forzati e artificiosi. Tuttavia è impossibile citare il nome della maison Prada senza pensare al legame che unisce a doppio filo questa casa di moda con l’arte.

Fin dagli inizi degli anni Novanta, infatti, Miuccia Prada comincia, insieme al marito e socio in affari Patrizio Bertelli, a collezionare opere di arte contemporanea dei più importanti artisti degli anni Sessanta, dai minimalisti americani a Lucio Fontana o Damien Hirst.

È nel 1993 che i due coniugi danno vita a Milano alla Fondazione Prada, un centro dedicato all’arte e alla cultura contemporanea, con mostre d’arte permanenti ed esposizioni temporanee, concerti, mostre fotografiche, proiezioni di film e spettacoli di teatro e danza. Miuccia Prada ed il marito erano però colleghi d’affari già da qualche anno.

Nel 1978 infatti Miuccia ereditò l’azienda di famiglia che fin dalla sua fondazione, nel 1913, era specializzata in pelletteria ed accessori, ma che con il suo arrivo venne rivoluzionata radicalmente. Proprio dal 1978, infatti, venne lanciata la prima collezione di scarpe e successivamente, nel 1988, si ebbe l’importante passaggio all’abbigliamento con la prima collezione pret-à-porter per donna. Lo stile della maison riflette chiaramente l’animo e il carattere della sua creatrice, Miuccia.

Prada, come ai tempi della sua ideazione, è una maison di rottura, dallo stile iconico, minimale ma mai banale. Fin dalla prima collezione infatti è evidente come la casa di moda non sia mai scesa a compromessi con lo sfarzo e l’opulenza degli anni Ottanta, realizzando un proprio percorso o meglio un proprio stile, basato su linee minimal, con l’attenzione al dettaglio sartoriale, ai tessuti innovativi e all’utilizzo di colori scuri e neutri.

L’obiettivo è sempre stato quello di far sentire libera la donna che veste Prada, sicura nell’ essere sé stessa, senza seguire alcun tipo di stereotipo imposto dalla società. Ecco allora che in passerella la maison, e quindi Miuccia, presenta un femminismo più concettualizzato, che senza grandi manifestazioni mostra comunque una grande forza d’animo.

Tornando alla Fondazione Prada, lo spazio è suddiviso in tre sedi: la principale presso Largo Isarco 2 a Milano, nel quartiere Vigentino, si estende per circa 20.000 metri quadri, la seconda, all’interno della Galleria Vittorio Emanuele II, denominatal’Osservatorio Prada, un luogo dedicato alla fotografia e ai linguaggi visivi che sottolinea il rapporto che si viene a creare tra la fotografia, l’arte contemporanea e la società, ed infine la terza sede, dislocata a Venezia presso il Ca’ Corner della Regina.

Il critico d’arte Germano Celant, scomparso nel 2020, è stato il primo direttore artistico della Fondazione e dal 2015 anche soprintendente artistico e scientifico della stessa, per cui ha concepito e curato più di quaranta progetti espositivi.

Celant fu definito più volte, contro la sua volontà, il padre dell’arte povera, corrente artistica a cui egli stesso diede il nome e di cui creò le fondamenta. Egli diede un grande contributo alla crescita di fama della Fondazione e più volte è stato descritto come un punto fermo tra i continenti, un uomo, cioè, capace di mettere in relazione come pochi la cultura italiana con quella internazionale, europea o americana che sia.

La sua capacità di andare al di la dell’arte e di saper toccare diverse discipline fu fondamentale per la gestione di uno spazio come la Fondazione Prada, luogo in cui di fatti non vive solo l’arte nel senso più stretto di questa parola, bensì tutte le sfaccettature che essa rappresenta e contiene.

La Fondazione Prada, fortemente connessa con la città di Milano ed i suoi cittadini, non va considerata come un classico museo in cui andare ad osservare le opere d’arte in mostra, ma è un vero e proprio spazio culturale e di aggregazione, un luogo in cui la propria curiosità si risveglia in modi diversi, una realtà italiana tra le più visionarie in cui agli artisti è consentito di attuare le idee più stravaganti o irrealizzabili.

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Prada Marfa. Due parole, un’icona.

Prada Marfa, due parole, un’icona. Chi tra gli appassionati del settore moda non ha sentito o letto almeno una volta nella propria vita queste due parole messe l’una accanto all’altra? In pochi però sanno effettivamente cosa sia questa scritta così iconica.

Prada Marfa nasce nel 2005 come istallazione artistica permanente, realizzata da due artisti scandinavi contemporanei Elmgreen e Dragset. Questa opera rappresenta effettivamente una boutique del marchio Prada posizionata nel bel mezzo del deserto del Chihuahua, a pochi chilometri dalla cittadina che si chiama Marfa, nello stato del Texas e non fu commissionata dalla maison di moda, anche se Miuccia Prada in persona ne sostenne l’idea donando agli artisti dei pezzi originali della collezione autunno inverno 2005.

Prada Marfa nasce come opera di land art, allo scopo di criticare l’estremo consumismo americano di quegli anni e l’idea iniziale era quella di farla deteriorare nel tempo abbandonata al deserto senza alcuna manutenzione, a tal fine fu costruita con materiali biodegradabili. Pochi giorni dopo l’inaugurazione però, l’opera fu vandalizzata e ciò portò gli artisti a ricostruirla in materiali solidi, dotandola di telecamere di video sorveglianza e rinunciando quindi all’intenzione originale di farla deteriorare con il passare del tempo.

Oggi questa creazione è stata dichiarata vero e proprio museo ed è diventata un’icona per il mondo della moda, attirando ogni anno presso la località desertica di Marfa migliaia di turisti e fashion addicted e facendo schizzare alle stelle i costi della vita in città, tanto da creare dei veri e propri disagi economici per chi vive lì da semplice cittadino.