Nel verde cuore pulsante delle maestose Highlands scozzesi, tra le radure sconfinate e le antiche pietre che circondano il maestoso giardino del Drummond Castle, Maria Grazia Chiuri presenta per Dior la sua collezione Cruise 2025. Questo scenario incantato, impregnato di una serenità magica, ha fatto da sfondo a una sfilata che ha saputo unire la fredda quiete del paesaggio scozzese con un’audace estetica punk.
La location scelta per la sfilata non è casuale, lo stesso Christian Dior, nel 1951 aveva scelto le colline scozzesi per presentare la sua collezione primavera estate di quell’anno. Grazie a questo viaggio nella memoria, la collezione di Chiuri ha immediatamente trasportato gli spettatori in un’altra epoca.
L’aria fresca e la luce morbida del crepuscolo hanno creato un’atmosfera di pace e introspezione, accentuata dal suono delle cornamuse e dal canto degli uccelli. Questo ambiente sereno ha fatto da perfetto contrappunto alla collezione presentata.
Essa sorprende sopratutto per il suo coraggioso contrasto. Dior ha saputo mescolare con maestria un’anima sorprendente metal e trasgressiva con elementi della tradizione scozzese. Il risultato? Un mix audace ma classico che ha catturato l’essenza del punk senza perdere di vista l’eleganza intrinseca che caratterizza da sempre il marchio.
Le modelle sfilano, come guerriere che non mancano di dimostrare la loro impetuosa potenza bellica sfoggiando biker boots e abiti vellutati talvolta decorati in pizzo con particolare accortezza nei dettagli, che hanno definito l’elaborato complessivo. Importante è stato il ruolo del tartan su lana, palesato nelle sfumature più variegate dal blu e rosso, al giallo, viola e al senape.
Non è mancata la presenza del kilt, simbolo immortale della tradizione locale, abbinato per l’occasione a giacche di pelle decorate con spille e catene e bomber di nylon, cocker e maglie metalliche, donando una grinta sensuale e maestosa. Il tutto è circondato con eleganza da mantelle in matelassé strutturato e impreziosite da fantasie Toile de Jouy.
Gli accessori sono altrettanto protagonisti all’interno della collezione: borse decorate con motivi tartan, guanti in pelle e cinture borchiate hanno completato gli outfit, sottolineando l’incontro tra lo spirito ribelle e le secolari tradizioni. La tranquillità del castello scozzese ha creato un ambiente quasi mistico, in cui la collezione ha brillato ancora di più in virtù del contrasto.
In un mondo in cui spesso regnano caos e frenesia, la gita fuoripista di Dior nelle terre scozzesi ha offerto una visione di bellezza e di armonia, dove l’audacia del punk incontra la calma della tradizione.
Maria Grazia Chiuri porta in essere la celebrazione di una equilibrata dualità, tra pace e ribellione, tra passato e presente, dimostrando ancora una volta la capacità di Dior di innovare senza tradire le proprie radici. Una collezione che invita a riflettere su come i contrasti possano convivere, creando qualcosa di unico e affascinante.
Il Met Gala ha ancora una volta catturato l’attenzione globale. Il tema di quest’anno si è palesato in una celebrazione dell’irrazionale e dell’immaginario che ha trovato la sua massima espressione negli straordinari look indossati da alcune delle più grandi celebrità ed icone del momento.
Maison Margiela, sotto la guida creativa di John Galliano, ha abbracciato il tema con una visione che mescola abilmente realtà e sogno. La casa di moda nota per il suo approccio deconstruttvistico e innovativo si è perfettamente allineata con le astratte richieste del tema dell’evento per il 2024.
Tra gli highlights più notevoli della casa parigina vi è sicuramente il look di Zendaya. Conosciuta per le sue audaci scelte in ambito di moda, specialmente durante le passate edizioni del gala, la star californiana ha sfilato sul red carpet in un abito che sembrava fluttuare tra sogno e realtà.
L’outfit, un’elaborata creazione in tulle e seta con inserti iridescenti, sembrava catturare e riflettere la luce in modo etereo, creando un effetto quasi illusorio che ha lasciato il pubblico senza fiato.
Kim Kardashian, da parte sua, ha optato per un look che ha ridefinito il concetto di glamour surrealista. Il suo abito, una struttura complessa di tessuti traslucidi e riflessi metallici, accoppiato ad un busto che ha decisamente accentuato la silhouette dell’esponente di una delle famiglie più seguite al mondo, ha proiettato una visione futuristica con dettagli floreali che si sono fusi perfettamente con l’estetica richiesta.
Il tema del Met Gala per il 2024 ha invitato i designer a esplorare le profondità più surreale della realtà, deliziando tramite un abbandono della logica a favore dell’esplorazione dell’inconscio e dell’irrazionale. Maison Margiela ha interpretato il tema attraverso l’uso di tecniche sperimentali di taglio e costruzione degli abiti, oltre che attraverso l’uso audace di materiali e texture.
La scelta di questi look non solo evidenzia la maestria tecnica di Margiela, ma sottolinea anche l’impegno della casa di moda nell’essere all’avanguardia dell’innovazione nel design, dimostrando ancora una volta perché è considerato uno dei pilastri fondamentali nell’industria della moda odierna.
Sebbene Maison Margiela si sia concentrata giù sul lato surrealistico del tema di quest’anno, Balmain dal canto suo ha ugualmente catturato l’attenzione e merita di essere annoverato tra i “vincitori” della serata grazie alla sua sorprendente interpretazione del tema più orientato sul concetto dello scorrere del tempo con una serie di look scolpiti direttamente sulla sabbia.
L’oracolare direttore creativo di Balmain, Olivier Rousteing, ha accettato la sfida del surrealismo con un approccio radicalmente innovativo, utilizzando la sabbia come elemento principale nei suoi design, perfino nel suo stesso look, indossando una singolare t shirt con sopra scolpito il proprio volto.
Tecnica simile è stata utilizzata sulla cantante sudafricana Tayla, che ha portato sulla scalinata del MET un’abito a sirena fatto interamente di sabbia, quest’ultima, infusa e compattata direttamente nei tessuti, ha creato un effetto visivo straordinario che ricordava sculture mobili, dando l’impressione che gli indumenti fossero stati forgiati dalla terra stessa.
Questo uso della sabbia non solo ha aggiunto una dimensione tattile e tridimensionale agli abiti, ma ha anche invocato il surrealismo attraverso la sua capacità di trasformare un materiale quotidiano in qualcosa di straordinariamente lussuoso. L’effetto complessivo era quello di una delicata erosione che rivelava forme e strutture nascoste, riflettendo perfettamente il tema del gala di esplorare l’irrazionale e l’immaginario.
Balmain ha mostrato ancora una volta che la creatività nel design può andare oltre i confini tradizionali del tessuto e del filo, introducendo materiali non convenzionali nella moda di alta gamma e dimostrando che la sua visione artistica è tanto audace quanto quella di Maison Margiela. Questi contributi hanno reso il Met Gala 2024 un campo di battaglia glorioso di innovazione e immaginazione, dove sia Maison Margiela che Balmain hanno brillato come veri visionari.
La vittoria del surrealismo al Met Gala 2024 non risiede quindi solo nell’eccezionalità dei costumi, ma nel modo in cui ha stimolato gli stilisti a esplorare e reinterpretare la realtà. Ogni abito rappresentava una fusione tra arte e moda, un dialogo tra il visibile e l’invisibile, tra il conscio e l’inconscio.
La serata si è dimostrata ancora una volta un trionfo della creatività e dell’innovazione, celebrando non solo stili individuali ma anche il potere collettivo della moda di sfidare, provocare e ispirare.
In sintesi, il Met Gala 2024 non è stato solo un’occasione per celebrare il glamour e la bellezza estetica, ma anche un momento per riflettere su come l’arte possa prendere vita per diventare un mezzo potente per esplorare e reinterpretare la nostra comprensione del mondo.
Con ogni piega di tessuto e con ogni scelta di design audace, il surrealismo ha dimostrato di essere il vero vincitore, lasciando ancora una volta un’impronta indelebile sulla cultura popolare e sulla moda contemporanea.
In quello che è un turbinio di eleganza e sogno, maison Valentino, dopo l’addio al suo amato generale, Pier Paolo Piccioli, da il benvenuto nel suo regno ad Alessandro Michele, (ormai ex) paladino di casa Gucci, in quella che pare essere una promessa di una nuova era di rinnovata audacia e sperimentazione artistica.
La carica di direttore creativo rappresenta un ruolo assai decisivo per ogni casa di moda che si rispetti, egli può rappresentare la benedizione o la condanna (sia dal punto di vista stilistico che economico) per il suo brand.
Per constatare l’impatto prorompente che questa figura ha avuto sulla storia della moda ci basti pensare alle metamorfosi estetiche che i marchi più famosi hanno subito nel corso degli anni.
Geni della moda come Karl Lagerfeld per Chanel, Tom Ford per Gucci e Phoebe Philo per Celine, hanno adattato le firme nate in un passato che sembra distante ormai anni luce al mondo moderno con stravaganza, dinamicità e audacia.
Questi direttori creativi non solo hanno risollevato i rispettivi marchi, ma hanno anche lasciato un’impronta duratura su tutta l’industria, dimostrando il potere della visione creativa nel plasmare le tendenze, influenzare i gusti e, ultimamente, determinare il successo commerciale. L’importanza di un direttore creativo, quindi, non può essere sottovalutata, poiché è spesso sinonimo del destino stesso di un marchio nella volatile arena della moda.
Se è vero che la storia è destinata a ripetersi, il recente passaggio di testimone fra Pier Paolo Piccioli ed Alessandro Michele alla guida della Maison Valentino potrebbe segnare un importante svolta oppure trasformarsi nel volo di Icaro per la maison romana.
Sotto la guida di Pier Paolo Piccioli, Valentino ha posto in essere la rinascita del romanticismo, con collezioni che mescolavano abilmente l’eleganza classica della maison con una sensibilità moderna. Il suo talento nel bilanciare questi due mondi ha portato la casa di moda fondata da Valentino Garavani a nuove vette di successo e riconoscimento. L’arrivo di Alessandro Michele segnerebbe tuttavia un nuovo capitolo per il brand.
Michele, noto per il suo lavoro rivoluzionario da Gucci, ha reinventato il marchio con il suo debutto nel 2015. La sua visione unica ha rivitalizzato completamente il marchio, introducendo una nuova estetica che mescola stili vintage, romanticismo, e un senso di eclettismo stravagante.
Michele ha trasformato l’identità visiva del brand, introducendo una nuova era caratterizzata da un mix audace di stampe, colori e influenze storiche, che vanno dal Rinascimento al Rock ‘n’ Roll, il tutto unito in una sofisticata estetica genderless che ha inevitabilmente ampliato l’approccio di Gucci verso una visione di inclusività, celebrando la diversità in tutte le sue forme attraverso campagne pubblicitarie, casting di modelle/i e progetti di vario tipo. Intraprendendo inoltre importanti iniziative verso la sostenibilità, puntando a ridurre l’impatto ambientale delle sue collezioni.
Lo stile di Michele si è inoltre reso protagonista di collaborazioni uniche e spesso inaspettate con artisti, designer e marchi al di fuori del tradizionale ambito della moda, arricchendo l’offerta con una fresca creatività. Basti pensare agli innumerevoli look firmati Gucci sfoggiati negli ultimi anni da quelli che sono gli idoli della generazione Z come Achille Lauro, la band dei Maneskin ed Harry Styles.
Nonostante questo nuovo connubio possa risultare come una fonte di grande entusiasmo e aspettativa, esso non ha mancato di generare dubbi riguardo a potenziali svantaggi e sfide in particolare per un marchio con un’eredità e un’estetica tanto distintivi come Valentino.
Ciò che più attanaglia gli appassionati del fashion system è il possibile divario tra le visioni estetiche di Michele e l’heritage visivo lasciato da Piccioli. L’estetica unica e distintiva del primo, caratterizzata da un approccio eclettico, potrebbe non allinearsi perfettamente con l’eredità classica e il romanticismo sofisticato che hanno così scrupolosamente definito Valentino.
Questa divergenza potrebbe richiedere un periodo di adattamento per i clienti abituali e gli ammiratori del marchio. Un cambiamento troppo radicale nell’identità visiva e nel posizionamento di mercato di Valentino potrebbe alienare parte della sua clientela tradizionale, che oramai si identifica con l’attuale immagine del marchio.
Ciò porterebbe inevitabilmente le prime collezioni sotto la nuova direzione ad essere sottoposte a un intenso scrutinio. Il pubblico potrebbe non reagire favorevolmente al nuovo corso, soprattutto se percepiranno un allontanamento dalle radici e dai valori tradizionali di Valentino.
La principale sfida sottoposta a Michele sarà quindi il dover bilanciare la sua visione creativa con le aspettative commerciali, mantenendo l’alta qualità e l’artigianalità pur introducendo innovazioni e nuove direzioni.
D’altro canto, i successi passati di Michele a Gucci potrebbero tuttavia creare aspettative irrealistiche per il suo ruolo in Valentino. La pressione per replicare quel successo potrebbe influenzare le decisioni creative, con possibili impatti sul brand. La transizione tra direttori creativi richiede una gestione delicata sia internamente che esternamente. La capacità di Michele di guidare il team di Valentino, rispettando la cultura aziendale esistente mentre implementa la sua visione, sarà cruciale.
Nonostante questi potenziali svantaggi, è importante sottolineare che un cambio di direzione creativa offre anche l’opportunità di rinnovamento e può portare a un’era di innovazione e successo. Molto dipenderà da come Michele interpreterà il DNA di Valentino e da come riuscirà a integrare la sua visione creativa con i valori fondamentali del marchio.
Mentre guardiamo avanti con trepidazione e curiosità, è chiaro che le intrecciate radici della tradizione di casa Valentino, con Alessandro Michele al nuovo timone potrebbe essere destinato a rifiorire guidandoci in un futuro dove la bellezza e l’arte si fondono in maniera sempre più affascinante e sorprendente.
La scomparsa di Roberto Cavalli, avvenuta lo scorso 12 Aprile, segna per il mondo della moda non solo l’addio ad un’icona stilistica, ma anche la perdita di un visionario che ha contribuito a alla creazione del lato più “selvaggio” del glamour con un coraggio e un’estetica inconfondibili.
Cavalli non era semplicemente un designer; era un pittore del tessuto, un maestro dell’esuberanza visiva, il cui lascito continuerà a influenzare l’industria per generazioni.
Nato a Firenze nel 1940, Roberto Cavalli è figlio di una stirpe segnata dall’arte e l’artigianalità, suo nonno, Giuseppe Rossi, era un membro del movimento macchiaioli, precursori impressionisti italiani. Questo background artistico si rifletteva chiaramente nelle creazioni di Cavalli, dove ogni abito era una tela, ogni stampa un’audace dichiarazione.
Cavalli debuttò nel mondo della moda nel 1970 con una serie di stampe su maglia che catturarono l’attenzione di leggende del campo quali Hermès e Pierre Cardin, segnando l’inizio della sua ascesa meteorica.
Tuttavia, fu il suo innovativo processo di stampa su pelle che rivoluzionò il design di moda, fondendo tecnica e arte in modi che prima di lui erano impensabili. Con questa tecnica, il cuoio si trasformò in un materiale morbidamente lussuoso adornato con disegni audaci e colori vibranti.
Roberto Cavalli è stato il pioniere dell’uso della stampa animalier nella moda di lusso, facendo della fantasia leopardata un simbolo di sensualità e audacia. Le sue passerelle erano un tripudio di colori, un incontro tra il selvaggio e il raffinato, spesso impreziosite da accenti in pelle e denim lavorati con maestria.
L’impatto di Cavalli sulla moda è tangibile non solo nelle sue creazioni, ma anche nell’approccio che ha ispirato in altri designer. Ha reso il lusso accessibile, non solo in termini economici ma anche estetici, dimostrando che la moda può essere al tempo stesso esuberante e elegante.
La sua visione ha trasformato il modo in cui la gente percepisce il vestire: meno come una necessità e più come una forma di espressione personale e di arte.
Uno dei valori più importanti per Cavalli era senz’altro la famiglia, avendo fondato il suo impero con l’aiuto della moglie Eva durante i primi anni. Il suo marchio è cresciuto fino a diventare un nome familiare, simbolo di un lusso sfacciato ma sofisticato.
La sua scomparsa segna la fine di un’era, ma il suo stile rimarrà sempre nelle collezioni che continuano a portare il suo nome. Cavalli aveva inoltre ricevuto una laurea honoris causa in Fashion Management dalla Domus Academy di Milano il 18 giugno 2013, dove ha tenuto una lezione magistrale al termine della cerimonia.
Roberto Cavalli non è stato solo un designer; è stato un artista del nostro tempo, un vero innovatore che ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo della moda. Il suo lascito vive nelle linee audaci, nelle texture ricche e nelle stampe vivaci che continueranno a adornare gli amanti della moda di tutto il mondo. Oggi, mentre il mondo della moda piange la perdita di un gigante, celebriamo la vita di un uomo che ha osato sognare in colori vivaci. Roberto Cavalli, il visionario, l’artista, l’icona, sarà profondamente rimpianto, ma sicuramente, mai dimenticato.
Un momento fertile per il mondo della moda con arrivals and departures. Tra i grandi marchi che stanno ridefinendo le proprie fila, anche Bvlgari annuncia una nuova posizione all’interno del proprio prestigioso organico, posizione mai aperta in 140 anni di storia della Maison.
Diventa direttore creativo del reparto accessori e pelletteria Mary Katrantzou, lungimirante designer anglo-ellenica che con Bvlgari condivide codici estetici e sincretismo.
Mary Katrantzou nasce ad Atene del 1983, in qualche modo figlia d’arte, da madre interior designer e da padre ingegnere tessile. Si forma alla Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, e nel 2008 in occasione del suo show di laurea viene notata da quelli che diventeranno i suoi primi rivenditori (Browns, Joyce, Colette).
La collezione presentata è un’anticipazione del suo stile: il concetto base del suo lavoro è impreziosire gli abiti con stampe trompe l’oeil di gioielli oversize, su abiti in jersey. Le percezioni del concreto vengono completamente alterate dalle sue proposte: gioielli impossibili, importanti, stampati in maniera assolutamente iperreale su seta.
Grazie alla sua intuizione ed alla sperimentazione di tecniche di stampa, viene definita la Regina. Si ispira all’haute couture, la rielabora, la rende innovativa, affermando che “la stampa può essere definitiva come un taglio o un drappeggio e consente alla donna di filtrare la bellezza che si trova nel design. Le nostre collezioni creano una simbiosi tra il mondo della tecnologia digitale e l’artigianato tradizionale, aprendo un vasto spettro di possibilità. Posso creare possibilità dall’impossibile, surrealismo dal realismo, ed entrambi viceversa”.
Il focus dei suoi progetti è la sperimentazione attraverso cui mescola artigianato e tecnologie, creazioni dall’estetica contrastante, ma fortemente femminile ed audace.
Numerosi i riconoscimenti negli anni, premi come lo Swiss Textiles Award, il Designer of the Decade o il British Fashion Award for Emerging Talent, per citarne alcuni, così come le collaborazioni in capsule per Victoria’s Secret, Longchamp, Moncler, Topshop e Adidas Originals.
Ha disegnato i costumi per diversi balletti (NYC Ballet, Opera di Parigi, Balletto dell’Opera Nazionale Greca) e nella sua giovane carriera può vantare esposizioni al Metropolitan Museum of Art di New York e al Victoria & Albert Museum di Londra.
Un fresco talento di quelli che non si incontrano spesso e su cui Bvlgari investe anche prima di oggi. Nel 2019 la collezione Katrantzou SS 2020 “Wisdom Begins in Wonder” sfila nel Tempio di Poseidone, in occasione della celebrazione del trentesimo anniversario dell’associazione ELPIDA, a sostegno dei bambini malati di cancro.
Gli accessori scelti, per impreziosire i suoi abiti, sono proprio di Bvlgari, collezione Heritage. Da quel momento iniziano le collaborazioni con la Maison di Alta Gioielleria: disegna un’edizione speciale del flacone di Bvlgari Omnia ed interviene nella capsule “Serpenti” con la rielaborazione di borse ed accessori tessili.
Jean-Christophe Babin, CEO di Bvlgari, ha commentato con orgoglio la nomina di Mary Katrantzou, dicendosi certo che il rapporto tra la Maison e la designer porterà a grandi successi, “Mary condivide con Bvlgari non solo le origini greche, ma soprattutto la ricerca dell’eccellenza nella scelta dei materiali e nel modo in cui vengono trasformati con un’enfasi particolare sull’artigianalità, oltre ad un amore appassionato per i colori.”
La prima collezione Katrantzou chez Bvlgari sarà disponibile a partire da agosto 2024 nelle boutique della Maison. Nel frattempo, potremmo deliziarci del lavoro di Mary in occasione delle prossime Olimpiadidi Parigi del 26 luglio 2024, per cui la designer ha progettato i costumi che vestiranno gli atleti durante la cerimonia di accensione e consegna della torcia olimpica. Un vero tripudio di ellenicità!
In esclusiva su Mubi è disponibile il cortometraggio Who is Sabato De Sarno? A Gucci Story, diretto da Henry Joost e Ariel Schulman e narrato da Paul Mescal, attore nonché brand ambassador della casa di moda fiorentina.
L’idea alla base del progetto è quella di introdurre il nuovo direttore creativo di Gucci seguendolo durante i quattro giorni precedenti alla sua sfilata di debutto alla Milano Fashion Week dello scorso settembre.
Come recita il suo manifesto ANCORA, “questa è una storia di umanità, persone e vita vera”: se all’inizio sulla sua figura vige un clima di mistero e segretezza, ciò andrà via via dissipandosi nel corso della narrazione.
Sabato viene presentato come un uomo di umili origini, molto legato alla famiglia, che partendo dal basso è riuscito negli anni a conquistare uno spazio sempre più rilevante nel mondo della moda fino ad occupare il prestigioso incarico di direttore creativo di Gucci.
La sua è certamente una storia di successo, ma soprattutto una storia italiana. L’italianità è il cuore pulsante della collezione di De Sarno. Un’italianità che viene ribadita nella scelta di Via Mecenate, sede di Gucci, come location della sfilata, e nella predominanza del colore bordeaux.
Per l’occasione, il nuovo direttore creativo ha lanciato la sfumatura Rosso Ancora, decisa e dai rimandi vintage, e la rielaborazione in chiave contemporanea della storica borsa Jackie. È evidente la volontà di guardare al futuro mantenendo saldo il legame con la grande eredità del marchio.
Il documentario offre inoltre la possibilità di sbirciare il dietro le quinte e scoprire quanta cura e costante attenzione al dettaglio siano necessarie per la riuscita di un evento irripetibile.
“Il lavoro di centinaia di persone verrà giudicato in diciotto minuti e non ci sarà una seconda occasione”, dice lo stesso De Sarno visibilmente emozionato per quella che non è stata soltanto la sua prima sfilata per Gucci, ma la sua prima in assoluto.
Solo il tempo potrà stabilire se la visione di Sabato De Sarno riuscirà a lasciare un segno duraturo in casa Gucci. Adesso è il momento di creare ancora, ancora e ancora, una nuova storia. Con più passione, più desiderio e più gioia.
Demna Gvasalia, dal 2015 Art Director di Balenciaga, sa dare forma umana alla creatività dall’alto della sua capacità tecnico sartoriale, costruendo un immaginario seguendo le linee della decostruzione, come ci insegna Margiela.
“Un legame tra il passato e il presente”, tra Cristóbal Balenciaga che fonda la sua casa di moda nel 1917 e Demna, in un mondo che è completamente diverso dagli anni in cui lavoravano i grandi sarti. Questo spinge Demna alla costante sperimentazione dello stupore, portando il pubblico a non distogliere lo sguardo dalla collezione come nel caso della sua ultima sfilata autunno/inverno 2024-25.
Balenciaga
Demna si può permettere il lusso della creatività, decostruendo l’immaginario di riferimento, trasformando il vestito da oggetto esclusivo a oggetto collettivo, così tutto diventa quotidiano anche il glamour degli abiti da sera. La mutazione dell’imperfetto, dall’ugly-chic di Prada alla rule breaker di Demna (sconvolgo quel che voglio).
Tutto questo è frutto di un percorso di vita formativo fortemente voluto. Di origine georgiana, scappa dalla guerra e si ritrova in un mondo moderno pieno di stimoli. I suoi sensi sono iper stimolati e il suo desiderio di entrare a far parte del mondo della moda è più forte del retaggio sociale dei suoi genitori.
Balenciaga
Gvasalia si iscrive alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, in cui si fa subito notare per la sua innata creatività. Durante il periodo a Parigi, affina la sua idea di stile in casa Margiela e da Louis Vuitton, confrontandosi alla pari con i prodigi della moda come Marc Jacobs e poi con Nicolas Ghesquière.
Gvasalia nel 2014 fonda Vêtements insieme al fratello, alla stylist Lotta Vulkova e a un gruppo di amici. Un progetto per cui tutti avevano poco tempo ma il fashion system, sempre a caccia del nuovo da osannare, si appassiona al coraggio del radicalismo e ridicolizzazione delle tendenze del mercato.
I volumi over – over – oversize, la tendenza hardcore e l’estetica dell’Europa orientale diventano il focus delle collezioni di Gvasalia e il “brutto” diventa trend.
Sceglie come modelli perfetti sconosciuti, trasforma marchi tecnici in oggetti del desiderio. Pezzi cult diventano le magliette DHL gialle, il trench nero con la scritta Vetements, i pantashoes spandex, le maxi felpe, lo stile bikecore e i meme.
E quando un jeans, una maglietta gialla e un giubbotto over-size costano come un abito da sera griffato, diventa il marchio simbolo di lusso e non l’outfit facilmente copiabile dal fast fashion, trasformando l’immaginario delle proporzioni e gli usi degli abiti che tutti indossiamo. Così l’abbigliamento di Demna è più un atteggiamento che una cosa da possedere.
Il Fronte Rove di riferimento, diventa uno strumento di comunicazione potente, parte della collezione stessa, una comunicazione che rimbalza velocemente sui social media e infiamma i cuori dei fan che inevitabilmente li porta all’imitazione dello stile.
Con la sua arte, Demna prende in giro con l’ironia e il cinismo che lo contraddistinguono, così com’era Cristóbal Balengiaga, controcorrente ed elitario ma dotato di una elegantissima creatività, con le sue bocche finte e le parrucche gialle, trasformando ciò che è brutto in sartoria creativa.
Le sue sfilate trasgressive, contemporanee, pratiche, sono fra le più attese del fashion system, eclatante fu quella in connubio con Alessandro Michele, ex Art Director di Gucci.
BalenciagaBalenciaga
Demna trasforma le sue passerelle in uno strumento di denuncia sociale, non solo riflette lo zeitgeist culturale, ma allo stesso tempo lo guida. Inaugura una nuova versione del ready-made adattata alla moda: trasforma l’iconica Ikea bag blu da 70 centesimi in oggetto di culto in pregiata pelle da oltre 1800€, stesso successo per le sneakers Triple S, le “ugly sneakers”, l’asciugamano a gonna portafoglio, le Crocs col tacco che odi oppure ami, i vestiti fatti con reggiseni e geniali abiti tenuti insieme con lo scotch che esibiscono il cartellino con il prezzo.
Dal genio creativo di Demna ci aspettiamo ancora che la sua arte sartoriale sappia immaginare e andare oltre, trasformando la donna in una splendida meraviglia di volumi, pieghe, sfrontatezza, determinazione, non curante del giudizio altrui con drappeggi fuori dagli schemi. Non a caso il TIME 2022 inserisce Balenciaga, nella lista dei cento brand più influenti al mondo.
Elaborare un pensiero richiede tempo, valutazioni, delle volte anche studio. Nell’immediatezza di un avvenimento tutte le elucubrazioni sono fini a sé stesse. Arriverà il momento del pensiero logico, della critica disinteressata, dell’analisi storica, ma oggi è tempo solo di ringraziare.
È il 22 marzo 2024, un carosello di foto su Instagram si apre con l’iconica immagine di Pierpaolo Piccioli circondato dai preziosissimi artigiani di Maison Valentino, durante i saluti al termine dello show Château de Chantilly Haute Couture FW 23-24. Al primo sguardo è impossibile negarsi dal lasciare un like, perché quella immagine ha segnato moltissimo la cultura moderna. Un po’ come quando si ha davanti il David: è infattibile scorrere avanti senza prendersi qualche minuto per ammirarne la meraviglia.
Il carosello prosegue con una serie di immagini che, come la “divisa” del suo team a cui Piccioli ci ha abituato nelle sue apparizioni pubbliche, rimarranno impresse negli annali di moda, dicendo così addio a Maison Valentino. Non succede spesso, ma neanche del tutto raramente: l’ultimo vero addio a cui non eravamo preparati risale al novembre 2022 con Alessandro Michele che lascia casa Gucci.
È Piccioli stesso a comunicarlo dal suo profilo, con una cura ed una gentilezza spiazzante, lasciando un pensiero di stima non solo a Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, ma a tutti i professionisti con cui ha lavorato in 25 anni. Ne nomina alcuni, forse potendo avrebbe nominato tutti, ed è lui che ringrazia loro per le esperienze e la gioia.
Dagli show alle intuizioni, dalle foto amatoriali alle campagne, dagli applausi del pubblico agli abbracci con la famiglia: questo non vuole essere un elenco celebrativo dello straordinario lavoro di Piccioli, questo testo vuole dare immagine al sentimento disorientato che questa decisione ha procurato nel mondo della moda.
L’addio di Pierpaolo Piccioli è un saluto consapevole, composto ma allo stesso tempo dal fortissimo impatto emotivo, come una Black Tie.
È la celebrazione dell’individualità nella sfumatura di un Pink PP. È la forza, nella sua accezione più profonda, ricerca ed accettazione, comprensione ed esaltazione di Le Noir come nuovo spazio visivo non più privativo di luce, ma totalizzante ed accogliente.
L’addio di Pierpaolo Piccioli a Maison Valentino è riuscito ad essere magico perché non percepito con rabbia, con dissenso, con supposizioni ma spontaneo, diretto, quasi immune alle critiche, esattamente come un ragazzo che si diverte a coltivare la propria passione e l’immenso talento.
“Giovane e libero”, si dice. Nessuno saprebbe descriverlo in maniera più opportuna.
La fine è necessaria e l’inizio inevitabile. Nel mentre, solo applausi meritati e la realizzazione di aver goduto per 25 anni del lavoro di un giovane e libero artista che ha ridefinito e scritto nuove regole e combinazioni della moda contemporanea, a cui bisogna guardare con gratitudine nell’attesa di altra magia.
Cosa ci fa una bambina con degli scampoli di stoffa? Quanto può diventare straordinario il più semplice dei giochi come vestire le bambole quando si diventa grandi?
Questa è la storia di, una bambina newyorkese che giocava con scampoli di stoffa, visitava la boutique di sua madre ed imparava che la monocromia è solo una delle tante scelte possibili, ma non la più eccezionale. Stiamo parlando di Iris Apfel!
Crescendo, studia storia all’Università di New York, decidendo solo successivamente di intraprendere la carriera di giornalismo in moda tanto da partecipare ad un concorso per entrare a far parte della redazione di Vogue Paris. Storicamente era in corso la Seconda guerra mondiale e gli uffici di Vogue dovettero chiudere proprio in quel momento, bloccando temporaneamente i sogni di Iris.
Tuttavia il fuoco misto di perseveranza ed ottimismo le bruciava in petto, dalla quale darà vita all’incendio della sua iconicità: prima copista al Woman’s WearDaily, poi collaboratrice dell’illustratore Robert Goodman, poi ancora responsabile di eventi per un complesso alberghiero, ma con ancora troppo pochi capi a disposizione per poter vantare un armadio variopinto.
In quel momento nasce quello che sarà il suo tratto distintivo – il mix and match – che funzionando perfettamente con gli abiti applicherà anche nella sua carriera da arredatrice. Si ritrova a scoprire i magazzini Loehmann’s, in cui si potevano trovare capi griffati a prezzi stracciatissimi, dove ricevette il commento che la distinse nel tempo: “Non sei una bellezza, ma hai stile!”
In un’intervista dichiarò di non essere una grande fan di Coco Chanel: da un lato vi era Mademoiselle Chanel che proponeva abiti lineari, pratici, osannava il nero, dall’altro Iris Apfel che si divertiva a combinare tessuti, trame, accessori dalle misure sproporzionate rispetto alla sua figura esile e minuta.
Ad un certo punto della sua vita, Iris Apfel si innamora dell’uomo da cui prenderà il cognome e alla quale sarà legata sentimentalmente, artisticamente e imprenditorialmente per sessantasette anni. Insieme fonderanno la Old Wide Weavers, industria tessile che si occuperà niente meno che di curare l’interior design della Casa Bianca.
Variopinta, eccentrica, geniale, coperta da occhiali tondi, sorridente, amata tanto da ricevere riconoscimenti di ogni genere come una mostra dei suoi abiti e accessori protagonisti al MoMa di New York, la nascita di un documentario dedicato alla sua vita, una Barbie a sua immagine e somiglianza e ancora una cattedra all’Università di Austin.
Iris Apfel nel tempo è riuscita a stupire con curiosità, disponibilità e allegria chiunque incontrasse, così da diventare l’icona per eccellenza di tutte le persone del mondo che hanno apprezzato la sua filosofia: more is more, less is a bore.
Quindi, cosa ci fa una bambina con degli scampoli di stoffa? Chiedetelo a tutti i bambini che scoprono la bellezza dell’arte in ogni sua forma, la risposta è semplice: giocare.
E cosa fa quella bambina quando diventa Iris Apfel? Continua a giocare, sperimentare, divertirsi. Questa è la storia di come una signorina newyorkese è diventata un’icona di stile mondiale, e di come il mondo della moda e dell’arte piange la sua dipartita dello scorso 1° marzo 2024.
Con i suoi 102 anni ed un sorriso enorme quasi quanto i suoi occhiali, ci ha insegnato che mai bisogna fermarsi ad aspettare che le cose accadano, ma bisogna credere nelle proprie passioni, alzarsi ed andare a prendere ciò che ci spetta perché “Se sei pettinata bene e indossi un bel paio di scarpe te la puoi cavare in ogni situazione”.
Può la moda risollevare lo spirito e le speranze di un’intera nazione? Sembra essere questa la domanda a cui vuole rispondere The New Look, la nuova serie di AppleTV+ ispirata alla vita dello stilista francese Christian Dior e in particolare alle circostanze che lo portarono ad emanciparsi dallo studio in cui lavorava per fondare la sua leggendaria casa di moda.
L’episodio pilota si apre nella Parigi del 1955, durante la conferenza che Dior tenne alla Sorbona per parlare di estetica della moda e mostrare le collezioni Corolle ed En 8, ribattezzate New Look da Carmel Snow, la caporedattrice di Harper’s Bazaar.
Queste due linee, presentate nel febbraio del 1947 alla prima sfilata del couturier, ebbero un impatto rivoluzionario nel panorama francese e in seguito mondiale.
couturenotebook.com il Tailleur Bar presentato alla Sorbonneapple.com/it/tv una scena tratta dalla serie
Da qui la serie fa un passo indietro trasportando gli spettatori al 1943. Sullo sfondo di una Parigi assediata da tre anni dai nazisti e in cui i suoi cittadini tentano di sopravvivere in qualunque modo possibile, Christian Dior (Ben Mendelsohn) è uno dei talentuosi stilisti che popolano l’atelier di Lucien Lelong (John Malkovich) e lavora al fianco di un giovane e ribelle Pierre Balmain.
La loro clientela è per lo più composta dalle ricche mogli dei generali nazisti, le uniche a potersi permettere un tale lusso, e i due designer sono perciò costretti a ideare sontuose vesti che stridono con gli orrori della guerra che loro stessi vedono ogni giorno. Creare è sopravvivere, risponderà Dior alla domanda sul suo rapporto con i tedeschi posta da una studentessa americana nel corso della conferenza del 1955.
A condividere la scena con Dior, ci sono anche nomi come Cristóbal Balenciaga, Pierre Cardin e soprattutto Coco Chanel (Juliette Binoche), che può essere quasi considerata la protagonista femminile della serie.
All’elegante mademoiselle e quella che può essere considerata a tutti gli effetti la caduta della sua maison è dedicata un’intera storyline.
apple.com/it/tv Juliette Binoche nei panni di Coco Chanel
Almeno per i primi cinque episodi, chi si aspetta un racconto biografico sull’arte di Dior potrebbe restare deluso: l’attenzione è fortemente focalizzata sulla guerra e le vicende personali ad essa legate, come la deportazione di Catherine Dior (sorella di Monsierur Dior e interpreta da Maisie Williams) nel campo di concentramento di Ravensbrück e il controverso rapporto di Coco Chanel con i gerarchi nazisti che le costò la stima dei suoi connazionali al termine del conflitto.
La moda torna centrale solo al termine del quarto episodio con l’allestimento del Théâtre de la Mode, inaugurato al Louvre nel marzo del 1945.
La mostra, simbolo di ripartenza e rinascita per il paese e il settore dell’alta moda, nacque a scopo benefico e vide la partecipazione, oltre che di Dior e i colleghi dell’atelier Lelong, di nomi illustri come Cartier, Schiaparelli, e molti altri ancora che realizzarono completiin miniatura per dei manichini.
dior.com/it alcuni modelli esposti al THÉÂTRE DE LA MODE
Dopo il successo dell’iniziativa, mosso da un moto di indipendenza e dalla necessità di superare il dolore per la vicenda della sorella, Dior deciderà di fondare la propriamaison. Attingendo dallo stile sinuoso della Bella Époque e dal proprio genio creativo creerà abiti senza tempo come il Soirée à Rio e il Tailleur Bar.
apple.com/it/tv Ben Mendelsohn nei panni di Christian Dior
Questi e altri modelli presenti nella serie sono stati ricreati fedelmente sulla base di immagini e foto di archivio messe a disposizione dalla maison Dior, come ha dichiarato la costumista della serie, Karen Serreau, in un’intervista all’Hollywood Reporter.
Pur mettendo di tanto in tanto la moda in secondo piano e concedendosi delle libertà creative, The New Look riesce a raccontare un periodo di cambiamenti, rivoluzioni e le grandi figure che hanno contribuito a cambiare per sempre il modo di concepire l’haute couture.