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Scoprire l’arte della moda attraverso le serie tv

Il mondo dei contenuti audiovisivi non è mai stato indifferente al fascino della moda, come testimoniano numerosi film, serie TV e documentari che hanno preso in prestito volti e dinamiche di una realtà tanto famosa quanto ancora misteriosa e irraggiungibile per i più.

Alcuni di questi prodotti hanno segnato la storia non solo del cinema e della televisione ma soprattutto della cultura pop, guadagnando iconicità. Tra questi è impossibile non menzionare Il Diavolo Veste Prada, la cui notorietà e longevità è alimentata da un’ondata di nostalgia collettiva nei confronti del periodo che va dalla fine degli anni ‘90 all’inizio del nuovo millennio.

Oggi l’industria cinematografica sembra aver accantonato queste storie, avendo trovato nella formula dei biopic dedicati a cantanti e rockstar un modo sicuro per ottenere grande successo al box office.

Le piattaforme streaming, al contrario, nell’ultimo anno hanno iniziato a mostrare un crescente interesse nella trasposizione sul piccolo schermo delle vite dei grandi stilisti.

Solo nei primi tre mesi del 2024, a poca distanza l’una dall’altra, sono uscite le serie dedicate a Cristòbal Balenciaga e Christian Dior, rispettivamente su Disney+ e AppleTV+.

Sebbene con toni e scelte narrative piuttosto differenti, sia nell’omonima serie sul couturier spagnolo che in The New Look è possibile cogliere la volontà di porsi come una sorta di antidoto alla pervasiva e inquinante tendenza del fast fashion che ha appiattito, o per meglio dire impoverito, il rapporto dell’individuo con l’abbigliamento.

Oggi i vestiti sono oggetti di consumo standardizzati alla pari di qualsiasi altra tipologia di merce e molto spesso non si ha consapevolezza del loro processo produttivo, ragion per cui si tende ad acquistare quanti più capi possibili a basso prezzo e di conseguente bassa qualità anziché preferire una quantità ridotta ma di miglior fattura e con alle spalle probabilmente una lavorazione più etica (almeno si spera).

Laddove The New Look indulge in una prospettiva storica e melodrammatica, accantonando un po’ la moda, Cristòbal Balenciaga ricorda allo spettatore contemporaneo quanto la sartoria andrebbe considerata un’arte a tutti gli effetti.

Un’arte che non richiede solo talento ma ore di lavoro manuale, sacrificio e, nel caso di Balenciaga che decise di chiudere la sua maison pur di non cedere al prêt-à-porter, nessun compromesso.

Nel nostro immaginario, quando parliamo di artisti pensiamo immediatamente a pittori, scultori, musicisti, scrittori: perché non includere anche sarti e stilisti le cui creazioni già da decenni sono conservate nelle più prestigiose istituzioni museali?

Non a caso, il reparto costumi di Balenciaga e The New Look ha lavorato a stretto contatto con archivi e musei per replicare fedelmente le collezioni mostrate nel corso degli episodi. I modelli realizzati per The New Look sono diventati oggetto di una esposizione allestita all’interno della Galerie Dior a Parigi, la quale ha registrato un numero considerevole di presenze.

Trasporre sul piccolo schermo l’aspetto più “artigianale” delle carriere di questi uomini e donne – e non solo le loro stravaganze e turbolente vite private – potrebbe contribuire a ridefinire la percezione superficiale che in molti ancora hanno sul settore della moda.

Se sappiamo come e da dove sono nati i più celebri dipinti e le più memorabili canzoni, è arrivato il tempo di scoprire che gli abiti di alta moda hanno origine dalla medesima energia creativa.

Dopo aver esplorato le vite e il lavoro di Dior e Balenciaga, a giugno è attesa la serie Becoming Karl Lagerfeld sull’ascesa dello stilista tedesco come direttore creativo di Chanel, sempre su Disney+.

A marzo gli eredi della famiglia Gucci hanno annunciato, in collaborazione con la casa di produzione francese Gaumont e la Alcor Film di Giorgio Gucci, un progetto incentrato sulle vicende che hanno condotto Guccio Gucci a fondare il brand fiorentino.

Data l’abbondanza di storie al maschile, attendiamo di poter seguire settimana dopo settimana anche le vicende delle grandi protagoniste della moda.

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A Gucci Story: chi è Sabato De Sarno

In esclusiva su Mubi è disponibile il cortometraggio Who is Sabato De Sarno? A Gucci Story, diretto da Henry Joost e Ariel Schulman e narrato da Paul Mescal, attore nonché brand ambassador della casa di moda fiorentina.

L’idea alla base del progetto è quella di introdurre il nuovo direttore creativo di Gucci seguendolo durante i quattro giorni precedenti alla sua sfilata di debutto alla Milano Fashion Week dello scorso settembre.

Come recita il suo manifesto ANCORA, “questa è una storia di umanità, persone e vita vera”: se all’inizio sulla sua figura vige un clima di mistero e segretezza, ciò andrà via via dissipandosi nel corso della narrazione.

Sabato viene presentato come un uomo di umili origini, molto legato alla famiglia, che partendo dal basso è riuscito negli anni a conquistare uno spazio sempre più rilevante nel mondo della moda fino ad occupare il prestigioso incarico di direttore creativo di Gucci.

La sua è certamente una storia di successo, ma soprattutto una storia italiana. L’italianità è il cuore pulsante della collezione di De Sarno. Un’italianità che viene ribadita nella scelta di Via Mecenate, sede di Gucci, come location della sfilata, e nella predominanza del colore bordeaux.

Per l’occasione, il nuovo direttore creativo ha lanciato la sfumatura Rosso Ancora, decisa e dai rimandi vintage, e la rielaborazione in chiave contemporanea della storica borsa Jackie. È evidente la volontà di guardare al futuro mantenendo saldo il legame con la grande eredità del marchio.

Il documentario offre inoltre la possibilità di sbirciare il dietro le quinte e scoprire quanta cura e costante attenzione al dettaglio siano necessarie per la riuscita di un evento irripetibile.

“Il lavoro di centinaia di persone verrà giudicato in diciotto minuti e non ci sarà una seconda occasione”, dice lo stesso De Sarno visibilmente emozionato per quella che non è stata soltanto la sua prima sfilata per Gucci, ma la sua prima in assoluto.

Solo il tempo potrà stabilire se la visione di Sabato De Sarno riuscirà a lasciare un segno duraturo in casa Gucci. Adesso è il momento di creare ancora, ancora e ancora, una nuova storia. Con più passione, più desiderio e più gioia.

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THE NEW LOOK E L’ASCESA DI CHRISTIAN DIOR

Può la moda risollevare lo spirito e le speranze di un’intera nazione? Sembra essere questa la domanda a cui vuole rispondere The New Look, la nuova serie di AppleTV+ ispirata alla vita dello stilista francese Christian Dior e in particolare alle circostanze che lo portarono ad emanciparsi dallo studio in cui lavorava per fondare la sua leggendaria casa di moda. 

L’episodio pilota si apre nella Parigi del 1955, durante la conferenza che Dior tenne alla Sorbona per parlare di estetica della moda e mostrare le collezioni Corolle ed En 8, ribattezzate New Look da Carmel Snow, la caporedattrice di Harper’s Bazaar.

Queste due linee, presentate nel febbraio del 1947 alla prima sfilata del couturier, ebbero un impatto rivoluzionario nel panorama francese e in seguito mondiale.

Da qui la serie fa un passo indietro trasportando gli spettatori al 1943. Sullo sfondo di una Parigi assediata da tre anni dai nazisti e in cui i suoi cittadini tentano di sopravvivere in qualunque modo possibile, Christian Dior (Ben Mendelsohn) è uno dei talentuosi stilisti che popolano l’atelier di Lucien Lelong (John Malkovich) e lavora al fianco di un giovane e ribelle Pierre Balmain. 

La loro clientela è per lo più composta dalle ricche mogli dei generali nazisti, le uniche a potersi permettere un tale lusso, e i due designer sono perciò costretti a ideare sontuose vesti che stridono con gli orrori della guerra che loro stessi vedono ogni giorno. Creare è sopravvivere, risponderà Dior alla domanda sul suo rapporto con i tedeschi posta da una studentessa americana nel corso della conferenza del 1955.

A condividere la scena con Dior, ci sono anche nomi come Cristóbal Balenciaga, Pierre Cardin e soprattutto Coco Chanel (Juliette Binoche), che può essere quasi considerata la protagonista femminile della serie. 

All’elegante mademoiselle e quella che può essere considerata a tutti gli effetti la caduta della sua maison è dedicata un’intera storyline.

Almeno per i primi cinque episodi, chi si aspetta un racconto biografico sull’arte di Dior potrebbe restare deluso: l’attenzione è fortemente focalizzata sulla guerra e le vicende personali ad essa legate, come la deportazione di Catherine Dior (sorella di Monsierur Dior e interpreta da Maisie Williams) nel campo di concentramento di Ravensbrück e il controverso rapporto di Coco Chanel con i gerarchi nazisti che le costò la stima dei suoi connazionali al termine del conflitto. 

La moda torna centrale solo al termine del quarto episodio con l’allestimento del Théâtre de la Mode, inaugurato al Louvre nel marzo del 1945.

La mostra, simbolo di ripartenza e rinascita per il paese e il settore dell’alta moda, nacque a scopo benefico e vide la partecipazione, oltre che di Dior e i colleghi dell’atelier Lelong, di nomi illustri come Cartier, Schiaparelli, e molti altri ancora che realizzarono completiin miniatura per dei manichini. 

Dopo il successo dell’iniziativa, mosso da un moto di indipendenza e dalla necessità di superare il dolore per la vicenda della sorella, Dior deciderà di fondare la propriamaison. Attingendo dallo stile sinuoso della Bella Époque e dal proprio genio creativo creerà abiti senza tempo come il Soirée à Rio e il Tailleur Bar. 

apple.com/it/tv Ben Mendelsohn nei panni di Christian Dior

Questi e altri modelli presenti nella serie sono stati ricreati fedelmente sulla base di immagini e foto di archivio messe a disposizione dalla maison Dior, come ha dichiarato la costumista della serie, Karen Serreau, in un’intervista all’Hollywood Reporter. 

Pur mettendo di tanto in tanto la moda in secondo piano e concedendosi delle libertà creative, The New Look riesce a raccontare un periodo di cambiamenti, rivoluzioni e le grandi figure che hanno contribuito a cambiare per sempre il modo di concepire l’haute couture.

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La gioia del colore di Mirò arriva a Catania

A Catania il 2024 parte all’insegna dell’arte con la retrospettiva “Mirò, la gioia del colore”, curata da Achille Bonito Oliva con la collaborazione di Vincenzo Sanfo e Maïthé Vallès-Bled e il patrocinio della Regione Siciliana, l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e il Comune di Catania. Dal 20 gennaio al 7 luglio, il Palazzo della Cultura ospiterà 100 opere di Joan Mirò (1893 – 1983), provenienti da musei francesi e spagnoli: non solo dipinti, ma anche ceramiche, tempere, acquerelli, sculture e litografie che consentiranno ai visitatori di entrare nel variopinto e fantastico mondo del pittore catalano.

Un mondo che si rifiuta di essere prigioniero delle convenzioni della pittura e della società e anela alla libertà della sperimentazione pura, alla scoperta delle svariate forme che la materia può assumere. Dalle Avanguardie all’arte rupestre primitiva, passando per i grandi maestri del passato, lo stile di Mirò è espressione dello spirito creativo del suo tempo e vede nella linearità del simbolo e nell’energia del colore i protagonisti chiave per la creazione di un linguaggio universale, comprensibile a tutti.

A questa intenzione risponde l’apparente semplicità della sua produzione artistica che un occhio superficiale potrebbe accostare a quella di un bambino, scadendo nella tipica affermazione “potevo farlo anch’io”, riservata ormai a fin troppi artisti contemporanei. In realtà, le opere di Mirò sono frutto di una ponderata riflessione ed elaborazione, testimoniata dall’esistenza di diversi bozzetti preparatori.

Il suo tratto riconoscibile, unito all’intensità della sua tavolozza, è un invito ad abbandonare il rigore della ragione per inseguire il richiamo dell’immaginazione. In ogni opera è insita una spontanea vivacità che spiazza lo spettatore riportandolo alla dimensione ludica che si è soliti lasciare indietro una volta adulti.

La mostra catanese offre un percorso antologico che abbraccia circa sessanta anni di carriera dell’artista che insieme a Picasso e Dalì ha rappresentato una delle eccellenze della penisola iberica. Ogni sezione è dedicata all’approfondimento di ciascuno degli ambiti a cui Mirò si è interessato e tra questi certamente spiccano le copertine realizzate per la rivista d’arte francese Derrière le Miroir e le litografie per il libro illustrato di poesie di Tristan Tzara, padre del movimento Dadaista.

“Mirò, la gioia del colore” è un’occasione da non perdere sia per chi ha familiarità con l’artista catalano che per chi si affaccia per la prima volta al Surrealismo.

Visitate il link per conoscere ulteriori dettagli sull’esposizione a Palazzo della Cultura.