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Scoprire l’arte della moda attraverso le serie tv

Il mondo dei contenuti audiovisivi non è mai stato indifferente al fascino della moda, come testimoniano numerosi film, serie TV e documentari che hanno preso in prestito volti e dinamiche di una realtà tanto famosa quanto ancora misteriosa e irraggiungibile per i più.

Alcuni di questi prodotti hanno segnato la storia non solo del cinema e della televisione ma soprattutto della cultura pop, guadagnando iconicità. Tra questi è impossibile non menzionare Il Diavolo Veste Prada, la cui notorietà e longevità è alimentata da un’ondata di nostalgia collettiva nei confronti del periodo che va dalla fine degli anni ‘90 all’inizio del nuovo millennio.

Oggi l’industria cinematografica sembra aver accantonato queste storie, avendo trovato nella formula dei biopic dedicati a cantanti e rockstar un modo sicuro per ottenere grande successo al box office.

Le piattaforme streaming, al contrario, nell’ultimo anno hanno iniziato a mostrare un crescente interesse nella trasposizione sul piccolo schermo delle vite dei grandi stilisti.

Solo nei primi tre mesi del 2024, a poca distanza l’una dall’altra, sono uscite le serie dedicate a Cristòbal Balenciaga e Christian Dior, rispettivamente su Disney+ e AppleTV+.

Sebbene con toni e scelte narrative piuttosto differenti, sia nell’omonima serie sul couturier spagnolo che in The New Look è possibile cogliere la volontà di porsi come una sorta di antidoto alla pervasiva e inquinante tendenza del fast fashion che ha appiattito, o per meglio dire impoverito, il rapporto dell’individuo con l’abbigliamento.

Oggi i vestiti sono oggetti di consumo standardizzati alla pari di qualsiasi altra tipologia di merce e molto spesso non si ha consapevolezza del loro processo produttivo, ragion per cui si tende ad acquistare quanti più capi possibili a basso prezzo e di conseguente bassa qualità anziché preferire una quantità ridotta ma di miglior fattura e con alle spalle probabilmente una lavorazione più etica (almeno si spera).

Laddove The New Look indulge in una prospettiva storica e melodrammatica, accantonando un po’ la moda, Cristòbal Balenciaga ricorda allo spettatore contemporaneo quanto la sartoria andrebbe considerata un’arte a tutti gli effetti.

Un’arte che non richiede solo talento ma ore di lavoro manuale, sacrificio e, nel caso di Balenciaga che decise di chiudere la sua maison pur di non cedere al prêt-à-porter, nessun compromesso.

Nel nostro immaginario, quando parliamo di artisti pensiamo immediatamente a pittori, scultori, musicisti, scrittori: perché non includere anche sarti e stilisti le cui creazioni già da decenni sono conservate nelle più prestigiose istituzioni museali?

Non a caso, il reparto costumi di Balenciaga e The New Look ha lavorato a stretto contatto con archivi e musei per replicare fedelmente le collezioni mostrate nel corso degli episodi. I modelli realizzati per The New Look sono diventati oggetto di una esposizione allestita all’interno della Galerie Dior a Parigi, la quale ha registrato un numero considerevole di presenze.

Trasporre sul piccolo schermo l’aspetto più “artigianale” delle carriere di questi uomini e donne – e non solo le loro stravaganze e turbolente vite private – potrebbe contribuire a ridefinire la percezione superficiale che in molti ancora hanno sul settore della moda.

Se sappiamo come e da dove sono nati i più celebri dipinti e le più memorabili canzoni, è arrivato il tempo di scoprire che gli abiti di alta moda hanno origine dalla medesima energia creativa.

Dopo aver esplorato le vite e il lavoro di Dior e Balenciaga, a giugno è attesa la serie Becoming Karl Lagerfeld sull’ascesa dello stilista tedesco come direttore creativo di Chanel, sempre su Disney+.

A marzo gli eredi della famiglia Gucci hanno annunciato, in collaborazione con la casa di produzione francese Gaumont e la Alcor Film di Giorgio Gucci, un progetto incentrato sulle vicende che hanno condotto Guccio Gucci a fondare il brand fiorentino.

Data l’abbondanza di storie al maschile, attendiamo di poter seguire settimana dopo settimana anche le vicende delle grandi protagoniste della moda.

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Alessandro Michele da Valentino: perché si, perché no. Analisi di un cambio di rotta.

In quello che è un turbinio di eleganza e sogno, maison Valentino, dopo l’addio al suo amato generale, Pier Paolo Piccioli, da il benvenuto nel suo regno ad Alessandro Michele, (ormai ex) paladino di casa Gucci, in quella che pare essere una promessa di una nuova era di rinnovata audacia e sperimentazione artistica.

La carica di direttore creativo rappresenta un ruolo assai decisivo per ogni casa di moda che si rispetti, egli può rappresentare la benedizione o la condanna (sia dal punto di vista stilistico che economico) per il suo brand.

Per constatare l’impatto prorompente che questa figura ha avuto sulla storia della moda ci basti pensare alle metamorfosi estetiche che i marchi più famosi hanno subito nel corso degli anni.

Geni della moda come Karl Lagerfeld per Chanel, Tom Ford per Gucci e Phoebe Philo per Celine, hanno adattato le firme nate in un passato che sembra distante ormai anni luce al mondo moderno con stravaganza, dinamicità e audacia.

Questi direttori creativi non solo hanno risollevato i rispettivi marchi, ma hanno anche lasciato un’impronta duratura su tutta l’industria, dimostrando il potere della visione creativa nel plasmare le tendenze, influenzare i gusti e, ultimamente, determinare il successo commerciale. L’importanza di un direttore creativo, quindi, non può essere sottovalutata, poiché è spesso sinonimo del destino stesso di un marchio nella volatile arena della moda.

Se è vero che la storia è destinata a ripetersi, il recente passaggio di testimone fra Pier Paolo Piccioli ed Alessandro Michele alla guida della Maison Valentino potrebbe segnare un importante svolta oppure trasformarsi nel volo di Icaro per la maison romana.

Sotto la guida di Pier Paolo Piccioli, Valentino ha posto in essere la rinascita del romanticismo, con collezioni che mescolavano abilmente l’eleganza classica della maison con una sensibilità moderna. Il suo talento nel bilanciare questi due mondi ha portato la casa di moda fondata da Valentino Garavani a nuove vette di successo e riconoscimento. L’arrivo di Alessandro Michele segnerebbe tuttavia un nuovo capitolo per il brand.

Michele, noto per il suo lavoro rivoluzionario da Gucci, ha reinventato il marchio con il suo debutto nel 2015. La sua visione unica ha rivitalizzato completamente il marchio, introducendo una nuova estetica che mescola stili vintage, romanticismo, e un senso di eclettismo stravagante.

Michele ha trasformato l’identità visiva del brand, introducendo una nuova era caratterizzata da un mix audace di stampe, colori e influenze storiche, che vanno dal Rinascimento al Rock ‘n’ Roll, il tutto unito in una sofisticata estetica genderless che ha inevitabilmente ampliato l’approccio di Gucci verso una visione di inclusività, celebrando la diversità in tutte le sue forme attraverso campagne pubblicitarie, casting di modelle/i e progetti di vario tipo. Intraprendendo inoltre importanti iniziative verso la sostenibilità, puntando a ridurre l’impatto ambientale delle sue collezioni.

Lo stile di Michele si è inoltre reso protagonista di collaborazioni uniche e spesso inaspettate con artisti, designer e marchi al di fuori del tradizionale ambito della moda, arricchendo l’offerta con una fresca creatività. Basti pensare agli innumerevoli look firmati Gucci sfoggiati negli ultimi anni da quelli che sono gli idoli della generazione Z come Achille Lauro, la band dei Maneskin ed Harry Styles.

Nonostante questo nuovo connubio possa risultare come una fonte di grande entusiasmo e aspettativa, esso non ha mancato di generare dubbi riguardo a potenziali svantaggi e sfide in particolare per un marchio con un’eredità e un’estetica tanto distintivi come Valentino.

Ciò che più attanaglia gli appassionati del fashion system è il possibile divario tra le visioni estetiche di Michele e l’heritage visivo lasciato da Piccioli. L’estetica unica e distintiva del primo, caratterizzata da un approccio eclettico, potrebbe non allinearsi perfettamente con l’eredità classica e il romanticismo sofisticato che hanno così scrupolosamente definito Valentino.

Questa divergenza potrebbe richiedere un periodo di adattamento per i clienti abituali e gli ammiratori del marchio. Un cambiamento troppo radicale nell’identità visiva e nel posizionamento di mercato di Valentino potrebbe alienare parte della sua clientela tradizionale, che oramai si identifica con l’attuale immagine del marchio.

Ciò porterebbe inevitabilmente le prime collezioni sotto la nuova direzione ad essere sottoposte a un intenso scrutinio. Il pubblico potrebbe non reagire favorevolmente al nuovo corso, soprattutto se percepiranno un allontanamento dalle radici e dai valori tradizionali di Valentino.

La principale sfida sottoposta a Michele sarà quindi il dover bilanciare la sua visione creativa con le aspettative commerciali, mantenendo l’alta qualità e l’artigianalità pur introducendo innovazioni e nuove direzioni.

D’altro canto, i successi passati di Michele a Gucci potrebbero tuttavia creare aspettative irrealistiche per il suo ruolo in Valentino. La pressione per replicare quel successo potrebbe influenzare le decisioni creative, con possibili impatti sul brand. La transizione tra direttori creativi richiede una gestione delicata sia internamente che esternamente. La capacità di Michele di guidare il team di Valentino, rispettando la cultura aziendale esistente mentre implementa la sua visione, sarà cruciale.

Nonostante questi potenziali svantaggi, è importante sottolineare che un cambio di direzione creativa offre anche l’opportunità di rinnovamento e può portare a un’era di innovazione e successo. Molto dipenderà da come Michele interpreterà il DNA di Valentino e da come riuscirà a integrare la sua visione creativa con i valori fondamentali del marchio.

Mentre guardiamo avanti con trepidazione e curiosità, è chiaro che le intrecciate radici della tradizione di casa Valentino, con Alessandro Michele al nuovo timone potrebbe essere destinato a rifiorire guidandoci in un futuro dove la bellezza e l’arte si fondono in maniera sempre più affascinante e sorprendente.

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A Gucci Story: chi è Sabato De Sarno

In esclusiva su Mubi è disponibile il cortometraggio Who is Sabato De Sarno? A Gucci Story, diretto da Henry Joost e Ariel Schulman e narrato da Paul Mescal, attore nonché brand ambassador della casa di moda fiorentina.

L’idea alla base del progetto è quella di introdurre il nuovo direttore creativo di Gucci seguendolo durante i quattro giorni precedenti alla sua sfilata di debutto alla Milano Fashion Week dello scorso settembre.

Come recita il suo manifesto ANCORA, “questa è una storia di umanità, persone e vita vera”: se all’inizio sulla sua figura vige un clima di mistero e segretezza, ciò andrà via via dissipandosi nel corso della narrazione.

Sabato viene presentato come un uomo di umili origini, molto legato alla famiglia, che partendo dal basso è riuscito negli anni a conquistare uno spazio sempre più rilevante nel mondo della moda fino ad occupare il prestigioso incarico di direttore creativo di Gucci.

La sua è certamente una storia di successo, ma soprattutto una storia italiana. L’italianità è il cuore pulsante della collezione di De Sarno. Un’italianità che viene ribadita nella scelta di Via Mecenate, sede di Gucci, come location della sfilata, e nella predominanza del colore bordeaux.

Per l’occasione, il nuovo direttore creativo ha lanciato la sfumatura Rosso Ancora, decisa e dai rimandi vintage, e la rielaborazione in chiave contemporanea della storica borsa Jackie. È evidente la volontà di guardare al futuro mantenendo saldo il legame con la grande eredità del marchio.

Il documentario offre inoltre la possibilità di sbirciare il dietro le quinte e scoprire quanta cura e costante attenzione al dettaglio siano necessarie per la riuscita di un evento irripetibile.

“Il lavoro di centinaia di persone verrà giudicato in diciotto minuti e non ci sarà una seconda occasione”, dice lo stesso De Sarno visibilmente emozionato per quella che non è stata soltanto la sua prima sfilata per Gucci, ma la sua prima in assoluto.

Solo il tempo potrà stabilire se la visione di Sabato De Sarno riuscirà a lasciare un segno duraturo in casa Gucci. Adesso è il momento di creare ancora, ancora e ancora, una nuova storia. Con più passione, più desiderio e più gioia.

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Le rivoluzioni di Demna Gvasalia

Demna Gvasalia, dal 2015 Art Director di Balenciaga, sa dare forma umana alla creatività dall’alto della sua capacità tecnico sartoriale,  costruendo un immaginario seguendo le linee della decostruzione, come ci insegna Margiela.  

“Un legame tra il passato e il presente”, tra Cristóbal Balenciaga che fonda la sua casa di moda nel 1917 e Demna, in un mondo che è completamente diverso dagli anni in cui lavoravano i grandi sarti.              Questo spinge Demna alla costante sperimentazione dello stupore, portando il pubblico a non distogliere lo sguardo dalla collezione come nel caso della sua ultima sfilata autunno/inverno 2024-25.

Demna si può permettere il lusso della creatività, decostruendo l’immaginario di riferimento, trasformando il vestito da oggetto esclusivo a oggetto collettivo, così tutto diventa quotidiano anche il glamour degli abiti da sera. La mutazione dell’imperfetto, dall’ugly-chic di Prada alla rule breaker di Demna (sconvolgo quel che voglio).

Tutto questo è frutto di un percorso di vita formativo fortemente voluto. Di origine georgiana, scappa dalla guerra e si ritrova in un mondo moderno pieno di stimoli. I suoi sensi sono iper stimolati e il suo desiderio di entrare a far parte del mondo della moda è più forte del retaggio sociale dei suoi genitori.

Gvasalia si iscrive alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, in cui si fa subito notare per la sua innata creatività. Durante il periodo a Parigi, affina la sua idea di stile in casa Margiela e da Louis Vuitton, confrontandosi alla pari con i prodigi della moda come Marc Jacobs e poi con Nicolas Ghesquière.

Gvasalia nel 2014 fonda Vêtements insieme al fratello, alla stylist Lotta Vulkova e a un gruppo di amici. Un progetto per cui tutti avevano poco tempo ma il fashion system, sempre a caccia del nuovo da osannare, si appassiona al coraggio del radicalismo e ridicolizzazione delle tendenze del mercato.

I volumi over – over – oversize, la tendenza hardcore e l’estetica dell’Europa orientale diventano il focus delle collezioni di Gvasalia e il “brutto” diventa trend.

Sceglie come modelli perfetti sconosciuti, trasforma marchi tecnici in oggetti del desiderio. Pezzi cult diventano le magliette DHL gialle, il trench nero con la scritta Vetements, i pantashoes spandex, le maxi felpe, lo stile bikecore e i meme.

E quando un jeans, una maglietta gialla e un giubbotto over-size costano come un abito da sera griffato, diventa il marchio simbolo di lusso e non l’outfit facilmente copiabile dal fast fashion, trasformando l’immaginario delle proporzioni e gli usi degli abiti che tutti indossiamo. Così l’abbigliamento di Demna è più un atteggiamento che una cosa da possedere.

Il Fronte Rove di riferimento, diventa uno strumento di comunicazione potente, parte della collezione stessa, una comunicazione che rimbalza velocemente sui social media e infiamma i cuori dei fan  che inevitabilmente li porta all’imitazione dello stile.

Con la sua arte, Demna prende in giro con l’ironia e il cinismo che lo contraddistinguono, così com’era Cristóbal Balengiaga, controcorrente ed elitario ma dotato di una elegantissima creatività, con le sue bocche finte e le parrucche gialle, trasformando ciò che è brutto in sartoria creativa.

Le sue sfilate trasgressive, contemporanee, pratiche, sono fra le più attese del fashion system, eclatante fu quella in connubio con Alessandro Michele, ex Art Director di Gucci.

Demna trasforma le sue passerelle in uno strumento di denuncia sociale, non solo riflette lo zeitgeist culturale, ma allo stesso tempo lo guida. Inaugura una nuova versione del  ready-made adattata alla moda: trasforma l’iconica Ikea bag blu da 70 centesimi in oggetto di culto in pregiata pelle da oltre 1800€, stesso successo per le sneakers Triple S, le “ugly sneakers”, l’asciugamano a gonna portafoglio, le Crocs col tacco che odi oppure ami, i vestiti fatti con reggiseni e geniali abiti tenuti insieme con lo scotch che esibiscono il cartellino con il prezzo.

Dal genio creativo di Demna ci aspettiamo ancora che la sua arte sartoriale sappia immaginare e andare oltre, trasformando la donna in una splendida meraviglia di volumi, pieghe, sfrontatezza, determinazione, non curante del giudizio altrui con drappeggi fuori dagli schemi. Non a caso il TIME 2022 inserisce Balenciaga, nella lista dei cento brand più influenti al mondo.

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PPPiccioli lascia casa Valentino

Elaborare un pensiero richiede tempo, valutazioni, delle volte anche studio. Nell’immediatezza di un avvenimento tutte le elucubrazioni sono fini a sé stesse. Arriverà il momento del pensiero logico, della critica disinteressata, dell’analisi storica, ma oggi è tempo solo di ringraziare.

È il 22 marzo 2024, un carosello di foto su Instagram si apre con l’iconica immagine di Pierpaolo Piccioli circondato dai preziosissimi artigiani di Maison Valentino, durante i saluti al termine dello show Château de Chantilly Haute Couture FW 23-24. Al primo sguardo è impossibile negarsi dal lasciare un like, perché quella immagine ha segnato moltissimo la cultura moderna. Un po’ come quando si ha davanti il David: è infattibile scorrere avanti senza prendersi qualche minuto per ammirarne la meraviglia.

Il carosello prosegue con una serie di immagini che, come la “divisa” del suo team a cui Piccioli ci ha abituato nelle sue apparizioni pubbliche, rimarranno impresse negli annali di moda, dicendo così addio a Maison Valentino. Non succede spesso, ma neanche del tutto raramente: l’ultimo vero addio a cui non eravamo preparati risale al novembre 2022 con Alessandro Michele che lascia casa Gucci.

È Piccioli stesso a comunicarlo dal suo profilo, con una cura ed una gentilezza spiazzante, lasciando un pensiero di stima non solo a Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, ma a tutti i professionisti con cui ha lavorato in 25 anni. Ne nomina alcuni, forse potendo avrebbe nominato tutti, ed è lui che ringrazia loro per le esperienze e la gioia.

Dagli show alle intuizioni, dalle foto amatoriali alle campagne, dagli applausi del pubblico agli abbracci con la famiglia: questo non vuole essere un elenco celebrativo dello straordinario lavoro di Piccioli, questo testo vuole dare immagine al sentimento disorientato che questa decisione ha procurato nel mondo della moda.

L’addio di Pierpaolo Piccioli è un saluto consapevole, composto ma allo stesso tempo dal fortissimo impatto emotivo, come una Black Tie.

È la celebrazione dell’individualità nella sfumatura di un Pink PP. È la forza, nella sua accezione più profonda, ricerca ed accettazione, comprensione ed esaltazione di Le Noir come nuovo spazio visivo non più privativo di luce, ma totalizzante ed accogliente.

L’addio di Pierpaolo Piccioli a Maison Valentino è riuscito ad essere magico perché non percepito con rabbia, con dissenso, con supposizioni ma spontaneo, diretto, quasi immune alle critiche, esattamente come un ragazzo che si diverte a coltivare la propria passione e l’immenso talento.

“Giovane e libero”, si dice. Nessuno saprebbe descriverlo in maniera più opportuna.

La fine è necessaria e l’inizio inevitabile. Nel mentre, solo applausi meritati e la realizzazione di aver goduto per 25 anni del lavoro di un giovane e libero artista che ha ridefinito e scritto nuove regole e combinazioni della moda contemporanea, a cui bisogna guardare con gratitudine nell’attesa di altra magia.

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Iris Apfel: color icon

Cosa ci fa una bambina con degli scampoli di stoffa? Quanto può diventare straordinario il più semplice dei giochi come vestire le bambole quando si diventa grandi?

Questa è la storia di, una bambina newyorkese che giocava con scampoli di stoffa, visitava la boutique di sua madre ed imparava che la monocromia è solo una delle tante scelte possibili, ma non la più eccezionale. Stiamo parlando di Iris Apfel!

Crescendo, studia storia all’Università di New York, decidendo solo successivamente di intraprendere la carriera di giornalismo in moda tanto da partecipare ad un concorso per entrare a far parte della redazione di Vogue Paris. Storicamente era in corso la Seconda guerra mondiale e gli uffici di Vogue dovettero chiudere proprio in quel momento, bloccando temporaneamente i sogni di Iris.

Tuttavia il fuoco misto di perseveranza ed ottimismo le bruciava in petto, dalla quale darà vita all’incendio della sua iconicità: prima copista al Woman’s WearDaily, poi collaboratrice dell’illustratore Robert Goodman, poi ancora responsabile di eventi per un complesso alberghiero, ma con ancora troppo pochi capi a disposizione per poter vantare un armadio variopinto.

In quel momento nasce quello che sarà il suo tratto distintivo – il mix and match – che funzionando perfettamente con gli abiti applicherà anche nella sua carriera da arredatrice. Si ritrova a scoprire i magazzini Loehmann’s, in cui si potevano trovare capi griffati a prezzi stracciatissimi, dove ricevette il commento che la distinse nel tempo: “Non sei una bellezza, ma hai stile!”

In un’intervista dichiarò di non essere una grande fan di Coco Chanel: da un lato vi era Mademoiselle Chanel che proponeva abiti lineari, pratici, osannava il nero, dall’altro Iris Apfel che si divertiva a combinare tessuti, trame, accessori dalle misure sproporzionate rispetto alla sua figura esile e minuta. 

Ad un certo punto della sua vita, Iris Apfel si innamora dell’uomo da cui prenderà il cognome e alla quale sarà legata sentimentalmente, artisticamente e imprenditorialmente per sessantasette anni. Insieme fonderanno la Old Wide Weavers, industria tessile che si occuperà niente meno che di curare l’interior design della Casa Bianca.

Variopinta, eccentrica, geniale, coperta da occhiali tondi, sorridente, amata tanto da ricevere riconoscimenti di ogni genere come una mostra dei suoi abiti e accessori protagonisti al MoMa di New York, la nascita di un documentario dedicato alla sua vita, una Barbie a sua immagine e somiglianza e ancora una cattedra all’Università di Austin.

Iris Apfel nel tempo è riuscita a stupire con curiosità, disponibilità e allegria chiunque incontrasse, così da diventare l’icona per eccellenza di tutte le persone del mondo che hanno apprezzato la sua filosofia: more is more, less is a bore.

Quindi, cosa ci fa una bambina con degli scampoli di stoffa? Chiedetelo a tutti i bambini che scoprono la bellezza dell’arte in ogni sua forma, la risposta è semplice: giocare.

E cosa fa quella bambina quando diventa Iris Apfel? Continua a giocare, sperimentare, divertirsi. Questa è la storia di come una signorina newyorkese è diventata un’icona di stile mondiale, e di come il mondo della moda e dell’arte piange la sua dipartita dello scorso 1° marzo 2024.

Con i suoi 102 anni ed un sorriso enorme quasi quanto i suoi occhiali, ci ha insegnato che mai bisogna fermarsi ad aspettare che le cose accadano, ma bisogna credere nelle proprie passioni, alzarsi ed andare a prendere ciò che ci spetta perché “Se sei pettinata bene e indossi un bel paio di scarpe te la puoi cavare in ogni situazione”.

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THE NEW LOOK E L’ASCESA DI CHRISTIAN DIOR

Può la moda risollevare lo spirito e le speranze di un’intera nazione? Sembra essere questa la domanda a cui vuole rispondere The New Look, la nuova serie di AppleTV+ ispirata alla vita dello stilista francese Christian Dior e in particolare alle circostanze che lo portarono ad emanciparsi dallo studio in cui lavorava per fondare la sua leggendaria casa di moda. 

L’episodio pilota si apre nella Parigi del 1955, durante la conferenza che Dior tenne alla Sorbona per parlare di estetica della moda e mostrare le collezioni Corolle ed En 8, ribattezzate New Look da Carmel Snow, la caporedattrice di Harper’s Bazaar.

Queste due linee, presentate nel febbraio del 1947 alla prima sfilata del couturier, ebbero un impatto rivoluzionario nel panorama francese e in seguito mondiale.

Da qui la serie fa un passo indietro trasportando gli spettatori al 1943. Sullo sfondo di una Parigi assediata da tre anni dai nazisti e in cui i suoi cittadini tentano di sopravvivere in qualunque modo possibile, Christian Dior (Ben Mendelsohn) è uno dei talentuosi stilisti che popolano l’atelier di Lucien Lelong (John Malkovich) e lavora al fianco di un giovane e ribelle Pierre Balmain. 

La loro clientela è per lo più composta dalle ricche mogli dei generali nazisti, le uniche a potersi permettere un tale lusso, e i due designer sono perciò costretti a ideare sontuose vesti che stridono con gli orrori della guerra che loro stessi vedono ogni giorno. Creare è sopravvivere, risponderà Dior alla domanda sul suo rapporto con i tedeschi posta da una studentessa americana nel corso della conferenza del 1955.

A condividere la scena con Dior, ci sono anche nomi come Cristóbal Balenciaga, Pierre Cardin e soprattutto Coco Chanel (Juliette Binoche), che può essere quasi considerata la protagonista femminile della serie. 

All’elegante mademoiselle e quella che può essere considerata a tutti gli effetti la caduta della sua maison è dedicata un’intera storyline.

Almeno per i primi cinque episodi, chi si aspetta un racconto biografico sull’arte di Dior potrebbe restare deluso: l’attenzione è fortemente focalizzata sulla guerra e le vicende personali ad essa legate, come la deportazione di Catherine Dior (sorella di Monsierur Dior e interpreta da Maisie Williams) nel campo di concentramento di Ravensbrück e il controverso rapporto di Coco Chanel con i gerarchi nazisti che le costò la stima dei suoi connazionali al termine del conflitto. 

La moda torna centrale solo al termine del quarto episodio con l’allestimento del Théâtre de la Mode, inaugurato al Louvre nel marzo del 1945.

La mostra, simbolo di ripartenza e rinascita per il paese e il settore dell’alta moda, nacque a scopo benefico e vide la partecipazione, oltre che di Dior e i colleghi dell’atelier Lelong, di nomi illustri come Cartier, Schiaparelli, e molti altri ancora che realizzarono completiin miniatura per dei manichini. 

Dopo il successo dell’iniziativa, mosso da un moto di indipendenza e dalla necessità di superare il dolore per la vicenda della sorella, Dior deciderà di fondare la propriamaison. Attingendo dallo stile sinuoso della Bella Époque e dal proprio genio creativo creerà abiti senza tempo come il Soirée à Rio e il Tailleur Bar. 

apple.com/it/tv Ben Mendelsohn nei panni di Christian Dior

Questi e altri modelli presenti nella serie sono stati ricreati fedelmente sulla base di immagini e foto di archivio messe a disposizione dalla maison Dior, come ha dichiarato la costumista della serie, Karen Serreau, in un’intervista all’Hollywood Reporter. 

Pur mettendo di tanto in tanto la moda in secondo piano e concedendosi delle libertà creative, The New Look riesce a raccontare un periodo di cambiamenti, rivoluzioni e le grandi figure che hanno contribuito a cambiare per sempre il modo di concepire l’haute couture.

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La moda attende Alessandro Michele

Ciò che è stato detto, letto e scritto su Alessandro Michele sembra essere solo l’inizio di una straordinaria storia nel mondo della moda. Dal momento in cui questo giovane romano è esploso sulla scena, il suo percorso è stato un susseguirsi di apprezzamenti, critiche, provocazioni e supposizioni.

Classe 1972, il sogno di diventare scenografo, che potrebbe aver realizzato in un certo senso grazie alla sua visione unica della moda, il percorso di apprendistato accanto a figure come Karl Lagerfeld, Silvia Venturini Fendi e Frida Giannini.

Nel 2015, Marco Bizzarri gli offre la direzione creativa di Gucci e con soli sette giorni di tempo, Michele presenta una collezione uomo che anticipa l’estetica unica che sarebbe divenuta la sua firma: genderless, eccentrica, esasperata ed eterea.

Il successo arriva in rapida successione, con stimoli creativi, presenze su red carpet e amicizie nello show-bitz. Michele stesso è circondato dall’aura tipica di un’opera d’arte, dalle sue apparizioni apparentemente trasandate a fine sfilata, in netto contrasto con le sue creazioni, alle comparse pubbliche in cui si trasformava.

Ricordiamo il Met Gala del 2022, nelle vesti di gemello di Jared Leto, uno dei suoi ambassadors, o il Met Gala del 2019, in cui indossava abiti di porpora olografica al fianco di Harry Styles, il perfetto esempio della riuscita estetica Gucci-Michele.

La passione per la gioielleria, ereditata dalla nonna e l’espressionismo social silente contribuiscono a creare un’immagine di Michele come qualcosa che va oltre il semplice personaggio pubblico. Le sue stories sui social sono criptiche, raffigurano dettagli d’arte e paesaggi antichi, offrendo uno sguardo personale che va oltre l’apparenza.

Nel 2022, Michele annuncia la fine della sua collaborazione con Gucci. I suoi seguaci, quasi come adoratori, hanno vissuto un lutto e speculato sulla fine di un’era per Gucci, sperando in una nuova direzione creativa di Michele in una Maison che gli avrebbe concesso ancora più libertà espressiva. Aspetto fondamentale: la moda è anche business, ed il Gruppo Kering ha scelto una visione divergente da quella di Michele.

“Il rapporto più intimo che abbiamo con un oggetto” – così Michele descrive la moda, spogliandola di canoni e pregiudizi. La sua visione disinteressata al mercato della moda e la scelta di seguire il proprio gusto personale hanno trasformato il mondo moda-marketing in un’arte autentica.

La sua filosofia artistica va oltre il design, abbracciando la passione per l’arte, la musica e la letteratura: Michele fa della sua espressione stilistica un’opera d’arte, invitando al disordine della libertà in un mondo che cerca l’ordine e la minimalità estetica.

Le radici sono nell’infanzia, nell’idea che durante il carnevale tutto sia possibile. Michele invita a vivere la libertà fanciullesca anche nell’età adulta, sfidando le convenzioni con le sue creazioni. “Utilizzo l’ordinario per addizionarlo ad un elemento solo che fa diventare stranissimo l’ordinario”, afferma, mostrando sovrapposizioni, colori e imperfezioni nelle sue collezioni, trasformando ogni sfilata in uno spettacolo teatrale incantevole.

Si brama un suo ritorno sulle passerelle, chi lo sogna da Chanel, chi lo immagina in veste di direttore creativo di Bulgari, chi spera in un exploit indipendente, ma Alessandro Michele è molto di più: è un genio che ha tanto da dire e raccontare, una sorta di leggenda vivente che paradossalmente potrebbe insegnare la moda (la vita, come sostiene in più occasioni – “la moda si è ripresentata a me ed ha detto: piacere, sono la vita”) anche seduto al tavolino di un bar in piazza.

Non si può pensare ad Alessandro Michele senza meravigliarsi: il più grande regalo che ha fatto agli individui, attraverso le sue creazioni, è stato abbattere il concetto di binarismo ed elevare quello di corpo come territorio di liberà.

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Thom Browne e le favole

C’era una volta, in mezzo alla frenesia della grande mela, una cornice desolata e quasi surreale, dove un paesaggio innevato celava al suo interno una casa in disuso. Appena fuori di essa sorge un albero, una volta uomo, le cui braccia sono state sostituite da rami scuri e appassiti presenti anche sul suo copricapo.

Questo particolare “arbusto” però indossa un enorme piumino, lungo 9 metri, dal quale fuoriescono quattro piccoli modelli in completi eleganti compresi di giacca nera e shorts, per presentare la linea bambini di Browne.

I quattro “neonati” si apprestano poi a seguire la prima modella, palesatasi come un presagio funesto, avvolta in una stola di smoking ormai logoro, al di sotto del quale un corpetto trompe l’oeil in twill di seta bianca tenta di donare quel senso di eleganza evidentemente ormai perso nel tempo, ma non ancora del tutto spento.

Poco dopo inizia la consueta presentazione della collezione, composta da abiti sartoriali e cappotti dalle silhouette esagerate e imponenti. Arricchiscono l’elaborato anche tweed di denim stracciato e rose cucite in raso, flanelle di lana e intarsi di velluto, applicati su moiré di seta bianca. Completano il tutto poi accessori quali calzature con tacco imprigionate all’interno di uno strato di vinile impermeabile.

La palette cromatica non presenta toni particolarmente brillanti, il bianco e il nero la fanno da padroni, sebbene si accennino delle sfumature di grigio e dei piccoli dettagli rifiniti in rosso, blu e bianco per sottolineare anche in maniera minima l’appartenenza al brand.

Un’atmosfera gotica e genderless!

Accompagnati da una colonna sonora cheta e dalla risonanza spettrale, unita alla voce dell’attrice Carrie Coon, che vocalmente interpreta poesie di Edgar Allan Poe, i modelli procedono in linea discostante, alcuni decisi, altri incerti,  quasi spaesati, persi in un’atmosfera gotica la cui potenza visiva risulta evidente, infatti, nulla accade se non questo confuso avanzare dei “corvi” di Browne, eppure è impossibile distogliere lo sguardo, tutti gli spettatori sono rapiti dalla scena presentatasi dinanzi ai loro occhi.

Quest’esecuzione, unita all’accostamento di diversi materiali, crea una qualche sorta di armonia in mezzo all’oscurità angosciante, ma che allo stesso tempo trasmette tranquillità e speranza, ed è così che il caos si trasforma in bellezza. Complice di questo anche un’estetica genderless, mai assente nei moderni fashion show. Accade infatti che anche i modelli di sesso maschile presentano il volto decorato con trucco scenico completo di un acceso rossetto rosso cremisi, chiaro rimando al cinema muto degli anni ruggenti.

Lo show della collezione Thom Browne, curato dalla truccatrice britannica e creatrice di “wearable artIsamaya Ffrench, si conclude poi esattamente come era cominciato, con una ulteriore performance a precedere l’uscita finale dello stilista che porta con sé un enorme cuore scarlatto, in regalo al suo compagno (lo show si è infatti tenuto il giorno di San Valentino).

Accade che all’improvviso, un enorme insetto in palette dorata (interpretato dalla modella Alex Consani) si palesa all’interno della scena. Il coleottero viene spogliato della sua corazza in jacquard dai quattro neonati visti all’inizio, che rivelano così un completo composto da un cardigan con bottoni dorati e una gonna ampia rItraente il lugubre volatile, completa il tutto un fiocco con i colori del brand.

La peculiarità di quest’ultimo pezzo è rappresentata dalla distinzione cromatica rispetto ai pezzi proposti in precedenza, la quale tonalità spicca in mezzo alle altre lasciando l’atmosfera lugubre e scura e portando un messaggio di luce e speranza.

Chi acclamava lo stile minimal come top trend di questa nuova stagione dovrà immancabilmente ricredersi alla vista di quest’esecuzione. Thom Browne e non solo, riporta in auge la fantasmagoria tipica degli anni 90, dove a palesarsi sulla passerella non era solo un prodotto, ma una vera e propria performance artistica, che ha fatto appassionare generazioni intere al mondo della moda. Sebbene l’ispirazione al Corvo del già citato Edgar Allan Poe risulti evidente, dopo uno show del genere, si può dire di tutto, ma non certo “mai più”.

Federica Scillia_laboratorio_gioielli

Quando l’arte incontra il design: i gioielli di Federica Scillia

Federica Maria Scillia è una giovane orafa siciliana, designer del gioiello e gemmologa, è anche la
creatrice della collezione “Les Petites”.

Federica Scillia nel suo laboratorio | Fotografia di Simona Di Stefano @simonadst

Classe 1991, nasce a Palermo, e dopo aver conseguito la maturità classica, Federica, sceglie di
frequentare l’Harim, Accademia Euromediterranea di Catania, che le consente di approfondire e
perfezionare le proprie capacità pratiche e artistiche nel settore orafo. Filo conduttore di tutta la sua
vita è stata, infatti, la passione per il disegno e la creazione artigianale, il particolar modo di monili
preziosi.
Conseguito il Diploma di Laurea nell’anno 2017, Federica partecipa e vince un concorso
indetto dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte di Milano che le consente di intraprendere uno
stage lavorativo presso il laboratorio orafo del maestro Salvatore Messina, a Catania, per
perfezionare e mettere in pratica quanto appreso durante gli studi.

Sviluppatesi le sue già innate capacità di apprendimento e di creatività, e subito dopo aver terminato
lo stage, la giovane designer viene assunta dal maestro Messina e per arricchire il proprio bagaglio
professionale, consegue anche un diploma di gemmologia presso IGI Antwerp.
Noi di Madin siamo andate ad intervistarla direttamente nel suo laboratorio:


Raccontaci chi sei!

Sono un’orafa, designer del gioiello e gemmologa orgogliosamente siciliana, ma prima di essere
quanto detto, indubbiamente, sono una “dreamer” una persona che crede nelle proprie potenzialità e
nei propri sogni.


Come nasce la passione per i gioielli?

Indubbiamente la persona che mi ha trasmesso la passione per i gioielli è stata mia madre. Ricordo
che quando ero piccola la ammiravo mentre li indossava, ma, non desideravo solamente emularla,
io avevo desiderio di creare dei gioielli. Ho ritrovato un quaderno, che custodisco gelosamente,
dove da bambina disegnavo le mie parure preziose. Da adolescente, grazie all’aiuto di mio padre e
di alcuni strumenti rudimentali ho poi cominciato a realizzare i miei primi gioielli in filigrana
d’argento.

Dettaglio saldatura | Fotografia di Simona Di Stefano @simonadst


A cosa pensi quando crei?

Immaginate gli ingranaggi di un orologio, perfetti e coordinati tra loro, ecco, questa è l’idea che ho
della mia mente quando creo. Bisogna stare attenti a non commettere errori di esecuzione durante le
varie fasi di lavorazione del gioiello, ma nello stesso tempo, da designer, bisogna saper mettere quel
dettaglio in più per arricchire e rendere unico il gioiello che stai creando.


Come si chiama la tua prima collezione?

La mia prima collezione si chiama “Les petites” realizzata interamente a mano in oro e argento.
Design minimal e linee sottili, questa collezione è stata ideata per chi vuole indossare un dettaglio
prezioso.
Ho voluto provare a mettermi in gioco in prima persona, per la prima volta e devo dire che è andata
piuttosto bene, i gioielli sono stati apprezzati dalle clienti di tutte le età.


Progetti in cantiere?

La vita di un designer è sempre un “cantiere”, ho mille progetti per la testa, ma concretamente sto
già realizzando la collezione primaverile per la linea “Les petites”.

Visita il profilo di madin su Instagram per scoprire il video!